10 Novembre 2009
IL CASO
Moro, ecco la verità su Zaccagnini e Paolo VI
L’allora segretario della Dc e il Pontefice erano disposti a fare «tutto il possibile» per il leader sequestrato dalle Br. Senza debolezze.
Venti anni dalla sua morte… Conobbi Benigno Zaccagnini la sera del 17 o 18 marzo 1978, subito dopo il rapimento di Moro e la strage di via Fani. Elio ed Ettorina Brigante, sorella di sua moglie Anna, che lo ospitavano nella loro casa di via della Camilluccia, mi chiesero per telefono se potevo dare un 'sostegno spirituale' a Benigno. Da quella sera spessissimo, anche fino a notte tarda, gli sono stato vicino nel tempo di quei 53 giorni di un dolore che per lui durò altri 11 anni, fino alla morte, 5 novembre 1989. L’ho visto pensare, soffrire, piangere e pregare fino alla sera dei funerali di Moro. Ebbene: ancora oggi, nelle Commemorazioni anche solenni come quella a Montecitorio e nei libri a lui dedicati con belle parole sull’uomo, sul politico e sul testimone di 'laicità' cristiana magari un po’ adattata alle circostanze di oggi - c’è sempre un vuoto, e su quei 53 giorni si scivola via tra pudore e timore, come fosse meglio non parlarne. Aleggia come l’ombra di una 'omissione' - ci hanno fatto anche libri! - con sottintesa un’accusa che tocca non solo Zaccagnini, ma con lui anche Paolo VI. Già: nelle Lettere di Moro si leggono cose dure verso Zaccagnini, ma anche verso Paolo VI, che «ha fatto pochino, forse ne avrà scrupolo». E nessuno ricorda che Moro aveva informazioni solo dai carnefici, che forse nulla gli dicevano della realtà in cui proprio Paolo VI le provò tutte, in Italia e all’estero, presso organismi internazionali, Croce Rossa, Amnesty e Onu, e fece raccogliere una grande somma, nel caso servisse. A metà aprile di quel 1978 Civiltà Cattolica (bozze sempre viste in Segreteria di Stato) scrisse che salvo trattare alla pari tra Stato e Br - si doveva fare tutto il possibile per liberare Moro: tutto… In quei giorni e in quelle notti ho visto anche Zaccagnini deciso a fare questo tutto possibile, ma salvo tentativi di sciacallaggio politico non si aprì alcuna via per salvare il suo amico e guida, colui che solo lo aveva convinto ad accettare la Segreteria della Dc. La sua frase drammatica ripetuta tante volte fu questa: «Se ci fosse uno spiraglio!». Lo spiraglio non ci fu mai, e anzi Moro fu ucciso proprio la mattina del 9 maggio, quando uno parve potersi aprire. Lui del resto non aveva concesso nulla: diventato un ingombro, doveva morire. Ebbene: dopo Moro e la sua famiglia, dopo gli uomini della scorta e le loro famiglie, prime vittime di quel dramma furono proprio loro due, Benigno Zaccagnini e Paolo VI. Seguii da vicino quel dramma anche in altro modo. Ero in quotidiano contatto - e Zac lo sapeva - con monsignor Cesare Curioni, allora storico cappellano a San Vittore e poi ispettore generale dei cappellani di tutte le carceri italiane, che per conto del Papa provò tante altre strade, anche parlando con Renato Curcio e Alberto Franceschini, Br allora processati a Torino, che a lui si dissero del tutto estranei alla vicenda. Fu Curioni, tra l’altro, a scrivere di notte e sotto dettatura del Papa, presente monsignor Macchi, la prima bozza rivolta agli «Uomini delle Brigate Rosse». Per ragioni varie allora ero in contatto anche con Tonino Tatò, segretario di Enrico Berlinguer, e anch’essi sapevano. La 'strategia della fermezza' giudizio informato, e non col senno di poi - non fu scelta feroce imposta a Zac dal ferreo Pci, ma obbligo di una realtà senza alternativa, dolorosissimo per Zaccagnini e per Paolo VI. Falsa quindi la 'vulgata' del Pci che comandava con gelida fermezza, di Zaccagnini che obbediva tremebondo e impotente e del Papa e del Vaticano che si limitarono a preghiere e lamenti opponendosi ad ogni concessione: ingiuria senza fondamento, anche se aleggia nelle commemorazioni e in omissioni di recenti libri. Uno Zaccagnini passivo e poco energico? Eppure - lo ha scritto anche Enzo Biagi, mai smentito egli stesso mi disse che se quel 16 marzo le Br non avessero rapito Aldo Moro, dopo l’approvazione del nuovo governo egli si sarebbe dimesso da segretario: non condivideva alcune nomine di ministri fatte a sua insaputa. Poco energico? La sera dei funerali di Moro nella chiesa di Cristo Re vietata agli uomini della Dc dalla famiglia, in casa Brigante ci fu un’altra messa di requiem, e arrivò una telefonata di Fanfani: chiedeva al segretario il permesso di partecipare, eccezione personale, alle esequie. La risposta di Benigno fu forte e secca: «No! Sei libero, ma se vai ti denuncio ai probiviri e ti faccio espellere dal partito!». Ultimo: qualche settimana dopo, nei giorni delle votazioni per il nuovo presidente della Repubblica, Benigno mi dice al telefono che è addolorato perché gli uomini della Dc, Piccoli e altri, non vogliono votare Pertini come presidente. Chiedo se a suo parere la scelta di Pertini è giusta e opportuna. Mi risponde che è anziano, talora irruento e imprevedibile, ma galantuomo e pulito. Allora ripenso alla sua confidenza sulle dimissioni: «Chiama i tuoi 'amici' e di’ loro che se domani non votano Pertini tu ti dimetti!». Il giorno dopo Sandro Pertini fu eletto presidente della Repubblica. Il mite Zac aveva fatto la sua parte: come sempre.
Gianni Gennari
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martedì 10 novembre 2009
venerdì 6 novembre 2009
LA LIBERTA' DELLA CROCE DI CRISTO...
La Croce in quanto vessillo di cultura e di vittoria; di trionfo dell'Amore sull'Odio e sul Male; di speranza e fede su ogni
disperazione e negazione gratuita o pessimista; di fraternità universale contro ogni rigurgito etnico, o nazionalista o ideologico,
sempre in agguato e mai del tutto sconfitti, in ogni parte della terra; la Croce, quale dimensione umana più universale, alla
quale nessuno può scampare, tantomeno i pagani, tantomeno i non cristiani; la Croce quale formidabile arma, contro ogni
miseria materiale e specialmente spirituale.
E qui non si può fare a meno di ricordare a titolo di esempio, le parole della comunista e atea Natalia Ginzburg; la quale pur
comunista e atea, ciononostante indipendentemente dalla fede in Dio che più non aveva, fu pure un esempio di laica colta e
intelligente.
E ciò possiamo dire, perché malgrado i suoi limiti ideologici, ma con la forza della sola tradizione culturale, dimostrò esser
capace di leggere persino il senso più intimo della nostra stessa cultura (capacità che dovrebbero avere tutti i laici veri, senza
degradarsi a laicisti), onde priva di dubbio, poteva dire già nel 1988:
A me dispiace che il Crocifisso scompaia per sempre da tutte le classi. Mi sembra una perdita. Tutte o quasi tutte le persone che
conosco dicono che va tolto. A me dispiace che il Crocifisso scompaia. Se fossi un insegnante, vorrei che nella mia classe non
venisse toccato… Il Crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E' l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha
sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente… Il Crocifisso è segno del dolore umano. La corona
di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze… Fa parte della storia del mondo… Prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli
uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui
aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini… A me sembra bene che i ragazzi,
i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle
spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici perché troppo forte
e da troppi secoli è impressa l'idea della croce nel nostro pensiero. Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso d'una
sventura, versando sangue e lacrime cercando di non crollare. Questo dice il Crocifisso. Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici .
[Natalia Ginzburg (1916-1991) il 25 marzo 1988 ha scritto sul quotidiano L'Unità, un articolo dal titolo "Non togliete quel
Crocifisso" . Un commento su questo tema e articolo, è apparso su CulturaCattolica.it nel 2003 a cura di Vitaliano Mattioli ].
1 : Cosi come l’Italia e la Germania nazi-fasciste avevano in loro un germe di autodistruzione, similmente l’Europa odierna ha in sé stessa un più profondo e pericoloso focolaio di autodistruzione… .
________
APPENDICE DOCUMENTARIA
Da: http://www.avvenire.it/
Crocifissi, Bertone:
«L'Europa ci lascia solo le zucche»
"Io dico che questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute e ci toglie i simboli più cari. Questa è veramente una perdita": lo ha detto il segretario di Stato vaticano, card. Tarcisio Bertone a proposito dela sentenza di Strasburgo. "La nostra reazione - ha aggiunto - non può che essere di deplorazione" e "ora dobbiamo cercare con tutte le forze di conservare i segni della nostra fede per chi crede e per chi non crede".
"Abbiamo ascoltato tante voci - ha affermato il porporato - e anche l'eco del dolore di chi si sente un pò tradito nelle sue proprie radici pensando che questo simbolo religioso è simbolo di amore universale, non di esclusione ma di accoglienza. Questo credo che sia l'esperienza di tutti".
"Io dico purtroppo - ha aggiunto Bertone che ha preso parte a una conferenza stampa presso l'ospedale Bambin Gesù - che questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute prima del primo novembre e ci toglie i simboli più cari". Secondo il porporato inoltre "tutte le nostre città, le nostre strade, le nostre case, le scuole" presentano simboli religiosi come il crocifisso e dunque, ha chiesto, "dobbiamo togliere tutti i crocifissi? Penso a tutte le opere d'arte che presentano il crocifisso e la Pietà, mi domando se questo è un segno di ragionevolezza oppure no". Il segretario si Stato ha poi detto ai giornalisti di non aver ancora sentito l'opinione del Papa sul tema. "Lo vedrò domani", ha affermato. LA SENTENZA DELLA CORTEGianluca Cazzaniga
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso ieri una sentenza provvisoria contro l’Italia per la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche, giudicata una violazione sia della libertà religiosa dei bambini che del diritto dei genitori di educare i loro figli alla luce delle loro convinzioni religiose. A parere della Corte di Strasburgo l’Italia ha violato l’articolo 2, protocollo 1 (diritto all’istruzione) e l’articolo 9 (libertà di pensiero, di coscienza, di religione) della Convenzione per i diritti dell’uomo. I giudici della Corte avevano già emesso alcune sentenze in materia di diritto all’educazione e di libertà religiosa, ma questa è la prima che riguarda la presenza dei simboli religiosi nelle scuole. Una camera composta da sette giudici della seconda sezione della Corte, tra cui l’italiano Vladimiro Zagrebelsky, ha condannato all’unanimità il governo italiano a pagare un risarcimento di 5 mila euro per danni morali alla cittadina italiana che ha sollevato il caso. Per ora si tratta di una sentenza provvisoria e il giudice Nicola Lattieri, che difende l’Italia davanti alla Corte di Strasburgo, ha già dichiarato che il governo vuole chiedere il rinvio alla Grande Camera della Corte per riaprire la partita. Se il ricorso del governo non fosse accolto, la sentenza emessa ieri diverrebbe definitiva dopo tre mesi. Quindi spetterebbe al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa decidere, entro sei mesi, quali azioni il governo italiano dovrebbe prendere per non incorrere in ulteriori violazioni legate alla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche. La vicenda approdata a Strasburgo nasce dalla battaglia giudiziaria avviata anni fa da Soile Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi, sposata con un professionista padovano e madre di due figli. Nel 2002 i due ragazzi frequentavano la scuola media statale "Vittorino da Feltre" di Abano Terme. Nelle aule scolastiche, come succede da secoli in ogni istituto scolastico del nostro Paese, c’era il crocifisso appeso dietro la cattedra.
La signora Lautsi, convinta sulla base di chissà quale teoria, che la presenza del simbolo cristiano in classe fosse contrario a quella laicità a lei tanto cara - o forse si tratta di laicismo – andò a scuola a protestare, invocando un parere della Cassazione del 2000, secondo cui la presenza dei crocifissi nelle cabine elettorali sarebbe contrario al principio della laicità dello Stato. Nel maggio del 2002 il preside della "Vittorino da Feltre" decise di lasciare i crocifissi nelle aule. Un approccio in seguito raccomandato anche da una direttiva del ministero dell’Educazione. Non contenta, la signora Lautsi decise di presentare ricorso al Tar del Veneto, che nel gennaio del 2004 rinviò il caso alla Corte costituzionale per stabilire se la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche fosse conforme o meno ai principi sanciti nella Costituzione italiana. Nel marzo del 2005 l’Alta corte rigettò le istanze sollevate dalla caparbia italo-finlandese, giudicando che il crocifisso è sia il simbolo della storia e della cultura italiana e, quindi, della stessa identità nazionale; sia il simbolo dei principi di uguaglianza, libertà, tolleranza. Nonché della laicità dello Stato. Anche il Consiglio di Stato, nel febbraio del 2006, respinse il ricorso presentato da Soile Lautsi. Ieri, invece, ignorando completamente i pronunciamenti dei giudici italiani, la Corte di Strasburgo ha dato ragione alla signora Lautsi. «La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche, potrebbe essere facilmente interpretata dagli alunni di ogni età come un simbolo religioso», si legge nel comunicato diffuso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. «Questo potrebbe essere incoraggiante per gli alunni religiosi, ma allo stesso tempo potrebbe disturbare gli alunni atei o quelli che praticassero altre religioni, specialmente se appartenessero a minoranze».
I giudici (tra cui l'italiano Zagrebelsky). I sette giudici autori della sentenza sono: Francoise Tulkens (Belgio, presidente), Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajò (Ungheria), e Isil Karakas (Turchia).
BY METOZZI ORLANDO
disperazione e negazione gratuita o pessimista; di fraternità universale contro ogni rigurgito etnico, o nazionalista o ideologico,
sempre in agguato e mai del tutto sconfitti, in ogni parte della terra; la Croce, quale dimensione umana più universale, alla
quale nessuno può scampare, tantomeno i pagani, tantomeno i non cristiani; la Croce quale formidabile arma, contro ogni
miseria materiale e specialmente spirituale.
E qui non si può fare a meno di ricordare a titolo di esempio, le parole della comunista e atea Natalia Ginzburg; la quale pur
comunista e atea, ciononostante indipendentemente dalla fede in Dio che più non aveva, fu pure un esempio di laica colta e
intelligente.
E ciò possiamo dire, perché malgrado i suoi limiti ideologici, ma con la forza della sola tradizione culturale, dimostrò esser
capace di leggere persino il senso più intimo della nostra stessa cultura (capacità che dovrebbero avere tutti i laici veri, senza
degradarsi a laicisti), onde priva di dubbio, poteva dire già nel 1988:
A me dispiace che il Crocifisso scompaia per sempre da tutte le classi. Mi sembra una perdita. Tutte o quasi tutte le persone che
conosco dicono che va tolto. A me dispiace che il Crocifisso scompaia. Se fossi un insegnante, vorrei che nella mia classe non
venisse toccato… Il Crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E' l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha
sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente… Il Crocifisso è segno del dolore umano. La corona
di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze… Fa parte della storia del mondo… Prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli
uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui
aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini… A me sembra bene che i ragazzi,
i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle
spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici perché troppo forte
e da troppi secoli è impressa l'idea della croce nel nostro pensiero. Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso d'una
sventura, versando sangue e lacrime cercando di non crollare. Questo dice il Crocifisso. Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici .
[Natalia Ginzburg (1916-1991) il 25 marzo 1988 ha scritto sul quotidiano L'Unità, un articolo dal titolo "Non togliete quel
Crocifisso" . Un commento su questo tema e articolo, è apparso su CulturaCattolica.it nel 2003 a cura di Vitaliano Mattioli ].
1 : Cosi come l’Italia e la Germania nazi-fasciste avevano in loro un germe di autodistruzione, similmente l’Europa odierna ha in sé stessa un più profondo e pericoloso focolaio di autodistruzione… .
________
APPENDICE DOCUMENTARIA
Da: http://www.avvenire.it/
Crocifissi, Bertone:
«L'Europa ci lascia solo le zucche»
"Io dico che questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute e ci toglie i simboli più cari. Questa è veramente una perdita": lo ha detto il segretario di Stato vaticano, card. Tarcisio Bertone a proposito dela sentenza di Strasburgo. "La nostra reazione - ha aggiunto - non può che essere di deplorazione" e "ora dobbiamo cercare con tutte le forze di conservare i segni della nostra fede per chi crede e per chi non crede".
"Abbiamo ascoltato tante voci - ha affermato il porporato - e anche l'eco del dolore di chi si sente un pò tradito nelle sue proprie radici pensando che questo simbolo religioso è simbolo di amore universale, non di esclusione ma di accoglienza. Questo credo che sia l'esperienza di tutti".
"Io dico purtroppo - ha aggiunto Bertone che ha preso parte a una conferenza stampa presso l'ospedale Bambin Gesù - che questa Europa del terzo millennio ci lascia solo le zucche delle feste recentemente ripetute prima del primo novembre e ci toglie i simboli più cari". Secondo il porporato inoltre "tutte le nostre città, le nostre strade, le nostre case, le scuole" presentano simboli religiosi come il crocifisso e dunque, ha chiesto, "dobbiamo togliere tutti i crocifissi? Penso a tutte le opere d'arte che presentano il crocifisso e la Pietà, mi domando se questo è un segno di ragionevolezza oppure no". Il segretario si Stato ha poi detto ai giornalisti di non aver ancora sentito l'opinione del Papa sul tema. "Lo vedrò domani", ha affermato. LA SENTENZA DELLA CORTEGianluca Cazzaniga
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso ieri una sentenza provvisoria contro l’Italia per la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche, giudicata una violazione sia della libertà religiosa dei bambini che del diritto dei genitori di educare i loro figli alla luce delle loro convinzioni religiose. A parere della Corte di Strasburgo l’Italia ha violato l’articolo 2, protocollo 1 (diritto all’istruzione) e l’articolo 9 (libertà di pensiero, di coscienza, di religione) della Convenzione per i diritti dell’uomo. I giudici della Corte avevano già emesso alcune sentenze in materia di diritto all’educazione e di libertà religiosa, ma questa è la prima che riguarda la presenza dei simboli religiosi nelle scuole. Una camera composta da sette giudici della seconda sezione della Corte, tra cui l’italiano Vladimiro Zagrebelsky, ha condannato all’unanimità il governo italiano a pagare un risarcimento di 5 mila euro per danni morali alla cittadina italiana che ha sollevato il caso. Per ora si tratta di una sentenza provvisoria e il giudice Nicola Lattieri, che difende l’Italia davanti alla Corte di Strasburgo, ha già dichiarato che il governo vuole chiedere il rinvio alla Grande Camera della Corte per riaprire la partita. Se il ricorso del governo non fosse accolto, la sentenza emessa ieri diverrebbe definitiva dopo tre mesi. Quindi spetterebbe al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa decidere, entro sei mesi, quali azioni il governo italiano dovrebbe prendere per non incorrere in ulteriori violazioni legate alla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche. La vicenda approdata a Strasburgo nasce dalla battaglia giudiziaria avviata anni fa da Soile Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi, sposata con un professionista padovano e madre di due figli. Nel 2002 i due ragazzi frequentavano la scuola media statale "Vittorino da Feltre" di Abano Terme. Nelle aule scolastiche, come succede da secoli in ogni istituto scolastico del nostro Paese, c’era il crocifisso appeso dietro la cattedra.
La signora Lautsi, convinta sulla base di chissà quale teoria, che la presenza del simbolo cristiano in classe fosse contrario a quella laicità a lei tanto cara - o forse si tratta di laicismo – andò a scuola a protestare, invocando un parere della Cassazione del 2000, secondo cui la presenza dei crocifissi nelle cabine elettorali sarebbe contrario al principio della laicità dello Stato. Nel maggio del 2002 il preside della "Vittorino da Feltre" decise di lasciare i crocifissi nelle aule. Un approccio in seguito raccomandato anche da una direttiva del ministero dell’Educazione. Non contenta, la signora Lautsi decise di presentare ricorso al Tar del Veneto, che nel gennaio del 2004 rinviò il caso alla Corte costituzionale per stabilire se la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche fosse conforme o meno ai principi sanciti nella Costituzione italiana. Nel marzo del 2005 l’Alta corte rigettò le istanze sollevate dalla caparbia italo-finlandese, giudicando che il crocifisso è sia il simbolo della storia e della cultura italiana e, quindi, della stessa identità nazionale; sia il simbolo dei principi di uguaglianza, libertà, tolleranza. Nonché della laicità dello Stato. Anche il Consiglio di Stato, nel febbraio del 2006, respinse il ricorso presentato da Soile Lautsi. Ieri, invece, ignorando completamente i pronunciamenti dei giudici italiani, la Corte di Strasburgo ha dato ragione alla signora Lautsi. «La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche, potrebbe essere facilmente interpretata dagli alunni di ogni età come un simbolo religioso», si legge nel comunicato diffuso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. «Questo potrebbe essere incoraggiante per gli alunni religiosi, ma allo stesso tempo potrebbe disturbare gli alunni atei o quelli che praticassero altre religioni, specialmente se appartenessero a minoranze».
I giudici (tra cui l'italiano Zagrebelsky). I sette giudici autori della sentenza sono: Francoise Tulkens (Belgio, presidente), Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajò (Ungheria), e Isil Karakas (Turchia).
BY METOZZI ORLANDO
giovedì 5 novembre 2009
La storia non è finita
Taylor: «La storia non è finita»
Il rifiuto delle «storie della sottrazione» è uno dei lati dell’intuizione secondo cui gli esseri umani «costruiscono» nuove identità, nuovi immaginari e concezioni della loro posizione nel cosmo e nella storia. Le virgolette alla nozione di «costruzione» intendono segnalare che questo non è qualcosa che facciamo in modo deliberato e controllato. Noi siamo più come sonnambuli, che sono trasportati fra differenti costruzioni. Vale a dire: vi è certo qualche elemento di intenzionalità (siamo catturati da nuove idee morali e religiose, come quella della sola fide), ma vi sono anche una gran quantità di conseguenze non volute. Nemmeno intendo dire con «costruzione» che i mutamenti non corrispondano a nulla nella realtà, che siano completamente arbitrari. Tutto questo fa forse di «costruzione» un termine inadatto, ma non ne ho trovato uno migliore. Con esso voglio indicare che un mutamento storico importante non sorge perché semplicemente diffondiamo alcune credenze o alcune delimitazioni concettuali, ma che noi siamo sempre impegnati nella ridefinizione della nostra capacità di agire e stiamo sempre modificando noi stessi. Come parlare di una direzione di cambiamento? Veniamo qui alla questione hegeliana, perché Hegel vede all’opera una direzione di cambiamento che muove la storia (lo spirito si dipana, la ragione realizza compiutamente se stessa). Ho detto che non ritengo che i cambiamenti siano puramente arbitrari. Se qualcosa come la dottrina della sola fide ha potuto avere un tale grande impatto sulla storia, essa deve corrispondere a qualcosa di importante nella condizione umana, qualcosa a cui l’adozione di questa dottrina rispondeva. Impariamo a conoscere la nostra natura osservando che cosa è accaduto nella storia. Fin qui, la prospettiva è hegeliana. Tuttavia, dove Hegel sbaglia è nell’assumere che vi sia una sola direzione di cambiamento, che vi sia cioè una sola linea di sviluppo che ci trascina in avanti. Chiaramente, invece, la storia ci mostra che non è così. Ci sono larghe analogie fra i potenti itinerari di cambiamento che osserviamo nelle diverse civiltà, ma non possono essere tutte ricondotte a un’unica linea di sviluppo. Prendiamo ad esempio il periodo assiale. Jaspers ha ragione nel sostenere che qui sia accaduto qualcosa di importante: un certo senso di trascendenza o di un bene più alto si presenta in diverse civiltà evolute. Queste hanno poi un enorme potere di trascinamento su coloro che vivono ai margini di queste civiltà. Tuttavia, è molto arduo mettere in luce quale sia l’elemento comune qui, per esempio fra i profeti ebraici, i filosofi greci, il Buddha e Confucio. Queste nuove aperture non possono essere messe a confronto lungo un asse che va da quelle che riflettono realmente il cambiamento storico e quelle che lo riflettono solo imperfettamente o solo in prima approssimazione. Questo tipo di gerarchia riflette la ristrettezza di pensiero e l’arroganza dell’Occidente e Hegel ne era soggiogato (non siamo però moralistici, era arduo non vederla così in Europa a quel tempo). In altri termini, è vero sia che certi sviluppi storici possono essere visti come il dipanarsi di un importante potenziale umano (e qui siamo certamente in territorio hegeliano), sia che la tavolozza di questi sviluppi è piuttosto ampia e non può essere ristretta in anticipo (e qui rompiamo con Hegel). Certamente c’è spazio per ulteriori sorprese. Dovremmo anche aggiungere che queste dinamiche, benché corrispondano a un importante potenziale, quasi sempre comportano la perdita di altri potenziali umani. Per esempio, il «disincanto» del mondo non consiste solo nel nostro perdere alcune credenze bizzarre e improbabili sulle reliquie o sugli spiriti del bosco; esso consiste anche nel nostro sviluppare un nuovo modo di stare al mondo come «sé compressi» ( buffered selves); e questo significa la perdita di un certo tipo di sensibilità. Così, Hegel ha ragione nel sostenere che a) certi cambiamenti sono la realizzazione di importanti potenziali, ma egli ha torto b) perché non vi è un’unica direzione per tali cambiamenti. Vi sono piuttosto forme rivali o analoghe, per indicare le quali fatichiamo a trovare un termine generale, come con le rivoluzioni del periodo assiale. Inoltre, Hegel ha torto c) per il fatto che questi mutamenti comportano perdite e guadagni e spesso ci mettono di fronte a profondi dilemmi. La storia umana sembra orientata verso l’uniformità, perché alcuni sviluppi conferiscono un grande potere economico e militare alle società che li adottano. Questo costringe altre società a sviluppare almeno degli equivalenti funzionali, se non vogliono essere sottomesse. Tuttavia, questi equivalenti funzionali devono essere sviluppati a partire dalle risorse culturali disponibili alle società stesse, cosicché noi abbiamo non una sola modernità, ma modernità multiple. Penso che la «postmodernità» sia soltanto la continuazione di certe tendenze della modernità. La modernità stessa è sempre stata qualcosa con cui abbiamo lottato, perché include nuove concezioni dell’ordine (come l’ordine morale moderno) e varie forme di ribellione contro queste ultime. Entrambe queste istanze contengono una parte di verità, dal mio punto di vista. Abbiamo bisogno di una qualche versione dell’ordine morale moderno per vivere vite decenti, in cui certe forme di barbarie umana, di disuguaglianza, di sfruttamento possano essere ridotte al minimo; ma non possiamo avere un’adorazione feticistica per questi ordini, o pretendere che essi esauriscano le nostre vite normative. Ciò che sembra assurdo e talvolta ridicolo da questo punto di vista è la inesorabile «seriosità» ( sérieux) di questa lotta fra coloro che credono in un ordine assoluto e coloro che vogliono rifiutare qualsiasi ordine. Entrambe le posizioni sono ugualmente insostenibili ed è doloroso vedere tanta energia, anche fra le menti migliori, dispersa in questa inutile battaglia.
Charles Taylor
Il rifiuto delle «storie della sottrazione» è uno dei lati dell’intuizione secondo cui gli esseri umani «costruiscono» nuove identità, nuovi immaginari e concezioni della loro posizione nel cosmo e nella storia. Le virgolette alla nozione di «costruzione» intendono segnalare che questo non è qualcosa che facciamo in modo deliberato e controllato. Noi siamo più come sonnambuli, che sono trasportati fra differenti costruzioni. Vale a dire: vi è certo qualche elemento di intenzionalità (siamo catturati da nuove idee morali e religiose, come quella della sola fide), ma vi sono anche una gran quantità di conseguenze non volute. Nemmeno intendo dire con «costruzione» che i mutamenti non corrispondano a nulla nella realtà, che siano completamente arbitrari. Tutto questo fa forse di «costruzione» un termine inadatto, ma non ne ho trovato uno migliore. Con esso voglio indicare che un mutamento storico importante non sorge perché semplicemente diffondiamo alcune credenze o alcune delimitazioni concettuali, ma che noi siamo sempre impegnati nella ridefinizione della nostra capacità di agire e stiamo sempre modificando noi stessi. Come parlare di una direzione di cambiamento? Veniamo qui alla questione hegeliana, perché Hegel vede all’opera una direzione di cambiamento che muove la storia (lo spirito si dipana, la ragione realizza compiutamente se stessa). Ho detto che non ritengo che i cambiamenti siano puramente arbitrari. Se qualcosa come la dottrina della sola fide ha potuto avere un tale grande impatto sulla storia, essa deve corrispondere a qualcosa di importante nella condizione umana, qualcosa a cui l’adozione di questa dottrina rispondeva. Impariamo a conoscere la nostra natura osservando che cosa è accaduto nella storia. Fin qui, la prospettiva è hegeliana. Tuttavia, dove Hegel sbaglia è nell’assumere che vi sia una sola direzione di cambiamento, che vi sia cioè una sola linea di sviluppo che ci trascina in avanti. Chiaramente, invece, la storia ci mostra che non è così. Ci sono larghe analogie fra i potenti itinerari di cambiamento che osserviamo nelle diverse civiltà, ma non possono essere tutte ricondotte a un’unica linea di sviluppo. Prendiamo ad esempio il periodo assiale. Jaspers ha ragione nel sostenere che qui sia accaduto qualcosa di importante: un certo senso di trascendenza o di un bene più alto si presenta in diverse civiltà evolute. Queste hanno poi un enorme potere di trascinamento su coloro che vivono ai margini di queste civiltà. Tuttavia, è molto arduo mettere in luce quale sia l’elemento comune qui, per esempio fra i profeti ebraici, i filosofi greci, il Buddha e Confucio. Queste nuove aperture non possono essere messe a confronto lungo un asse che va da quelle che riflettono realmente il cambiamento storico e quelle che lo riflettono solo imperfettamente o solo in prima approssimazione. Questo tipo di gerarchia riflette la ristrettezza di pensiero e l’arroganza dell’Occidente e Hegel ne era soggiogato (non siamo però moralistici, era arduo non vederla così in Europa a quel tempo). In altri termini, è vero sia che certi sviluppi storici possono essere visti come il dipanarsi di un importante potenziale umano (e qui siamo certamente in territorio hegeliano), sia che la tavolozza di questi sviluppi è piuttosto ampia e non può essere ristretta in anticipo (e qui rompiamo con Hegel). Certamente c’è spazio per ulteriori sorprese. Dovremmo anche aggiungere che queste dinamiche, benché corrispondano a un importante potenziale, quasi sempre comportano la perdita di altri potenziali umani. Per esempio, il «disincanto» del mondo non consiste solo nel nostro perdere alcune credenze bizzarre e improbabili sulle reliquie o sugli spiriti del bosco; esso consiste anche nel nostro sviluppare un nuovo modo di stare al mondo come «sé compressi» ( buffered selves); e questo significa la perdita di un certo tipo di sensibilità. Così, Hegel ha ragione nel sostenere che a) certi cambiamenti sono la realizzazione di importanti potenziali, ma egli ha torto b) perché non vi è un’unica direzione per tali cambiamenti. Vi sono piuttosto forme rivali o analoghe, per indicare le quali fatichiamo a trovare un termine generale, come con le rivoluzioni del periodo assiale. Inoltre, Hegel ha torto c) per il fatto che questi mutamenti comportano perdite e guadagni e spesso ci mettono di fronte a profondi dilemmi. La storia umana sembra orientata verso l’uniformità, perché alcuni sviluppi conferiscono un grande potere economico e militare alle società che li adottano. Questo costringe altre società a sviluppare almeno degli equivalenti funzionali, se non vogliono essere sottomesse. Tuttavia, questi equivalenti funzionali devono essere sviluppati a partire dalle risorse culturali disponibili alle società stesse, cosicché noi abbiamo non una sola modernità, ma modernità multiple. Penso che la «postmodernità» sia soltanto la continuazione di certe tendenze della modernità. La modernità stessa è sempre stata qualcosa con cui abbiamo lottato, perché include nuove concezioni dell’ordine (come l’ordine morale moderno) e varie forme di ribellione contro queste ultime. Entrambe queste istanze contengono una parte di verità, dal mio punto di vista. Abbiamo bisogno di una qualche versione dell’ordine morale moderno per vivere vite decenti, in cui certe forme di barbarie umana, di disuguaglianza, di sfruttamento possano essere ridotte al minimo; ma non possiamo avere un’adorazione feticistica per questi ordini, o pretendere che essi esauriscano le nostre vite normative. Ciò che sembra assurdo e talvolta ridicolo da questo punto di vista è la inesorabile «seriosità» ( sérieux) di questa lotta fra coloro che credono in un ordine assoluto e coloro che vogliono rifiutare qualsiasi ordine. Entrambe le posizioni sono ugualmente insostenibili ed è doloroso vedere tanta energia, anche fra le menti migliori, dispersa in questa inutile battaglia.
Charles Taylor
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