ABBA’ PADRE
LA PIETRA SCARTATA DAI
COSTRUTTORI E’ DIVENUTA TESTATA D’ANGOLO
Ciao Papà, in queste pagine provo a descrivere
ai miei fratelli come ho scoperto la Tua Paternità: affettuosa, protettiva e
materna. Grazie, per questi bellissimi 57 anni di grazia immeritata e per il
dono della disabilità. E grazie ancora per avermi tolto la tentazione di fare
da solo. Quello che mi dispiace Papà è che molti miei fratelli, pur sapendo che
esisti, non ne vogliono sapere di Te, vivono per tutta la vita come orfani in
continua ricerca del modo migliore per godersi la vita, ma si accontentano di
poco, perché c’è di meglio e il meglio sei Tu, che ci hai fatto eredi di una
felicità eterna, che si può iniziare a gustare da questa vita.
La prima volta che sentì parlare della paternità di Dio, è
stato il 17 aprile del 1982, giorno del funerale del mio papà Giulio. Il mio
vecchio parroco di allora, don Mario, citò nella predica il salmo: «
Anche se tuo
padre e tua madre si dimenticassero di te, IO non ti dimenticherò mai». Certo, in quei momenti
dovevo decidere cosa fare della mia vita e mi sono ricordato della parabola
dei gigli del campo:
Perciò io vi dico: non preoccupatevi
per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo,
di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più
del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né
raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete
forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche
di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate
come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico
che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora,
se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno,
non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque
dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di
tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa
che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua
giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi
dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun
giorno basta la sua pena (Mt 25-34).
Ho pensato che non era una favola – io credo – e così scelsi
di fidarmi e affidarmi a Dio. Non avevo ancora scoperto la sua paternità e la
ricchezza grandissima che portava dentro di sé. Tutto si schiarì quando un
giorno don Mario mi portò a conoscere suor Daniela Donà; le disse che io ero
senza genealogia. Suor Daniela ne chiese la ragione e il sacerdote rispose che
avevo perso entrambe i genitori. Con un’energia insospettata la suora affermò
il contrario: «Anch’io ho un Padre: è Dio ». Da allora, alle
riflessioni sui miei problemi, sulla disabilità e sul dolore che procura, ho aggiunto
una riflessione sulla paternità di Dio. A questi temi ho pensato profondamente in
tutti questi anni. Dopo molte battaglie, ribellioni, il tentativo di suicidio, ho
capito che la disabilità è un dono di Dio, che è Padre di tutti e quindi non fa
discriminazioni: non da un corpo perfetto ad alcuni e ad altri imperfetto perché
gli sono antipatici. Dio non fa torto a nessuno, non sbaglia mai e a ognuno
affida una missione come nella parabola dei talenti:
Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi
servi e consegnò loro i suoi beni. A
uno diede cinque talenti, a un altro
due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò
a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque.
Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo
talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo
padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle
regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque
talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri
cinque”. “Bene, servo buono e fedele –
gli disse il suo padrone –, sei stato fedele
nel poco, ti darò potere su molto ; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due
talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho
guadagnati altri due”. “Bene, servo
buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò
potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo
talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai
seminato e raccogli dove non hai sparso.
Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra:
ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli
rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e
raccolgo dove non ho sparso; avresti
dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato
il mio con l’interesse. Toglietegli
dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà
nell’abbondanza; ma a chi non ha , verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle
tenebre; là sarà pianto e stridore di
denti” (Mt 25,14-30).
E quindi anche le persone disabili hanno dei
talenti che devono far fruttificare, perché qualora non lo facessero, gli verrà
chiesto conto un giorno. E da qui non sono finite le mie riflessioni sulla disabilità.
Ho
poi letto l’episodio del cieco nato:
Passando, vide un
uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì,
chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi
genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno;
poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del
mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango
con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di
Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora
i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante,
dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No,
ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono
stati aperti gli occhi?».
Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha
fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e
làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo
so».
Condussero
dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva
fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo
come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango
sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano:
«Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece
dicevano: «Come può [,] un
peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che
cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un
profeta!».
Ma
i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la
vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista.
E li interrogarono: «È questo il vostro figlio,
che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che
questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli
abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età,
parlerà lui di sé».
Questo
dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei
avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo,
venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età:
chiedetelo a lui!».
Allora
chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un
peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo
so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto?
Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete
ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi
discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei
tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma
costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo
stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma
che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito
dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe
potuto far nulla».
Gli
replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono
fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori;
quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi
nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io
creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò
dinanzi a lui.
Gesù
allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché
coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi».
Alcuni
dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo
ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non
avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane»
(Gv 9,1-41).
Oggi so di non avere nessuna colpa per la mia
disabilità, anche se una persona di mia conoscenza è convinta ancora oggi che
la mia disabilità è dovuta ai peccati pregressi dei miei avi! Io non replico.
L’ha già fatto Gesù con questa parabola,
e so sempre da Lui che questa disabilità è per la gloria di Dio. La disabilità
non è il male, quello lo facciamo noi agli altri.
Questa preghiera, scritta da Kirk Kilgour, l’ho
fatta mia e ve la regalo: Kilgour era uno straordinario giocatore di pallavolo,
ha militato nella squadra di Ariccia in serie A del campionato italiano. L'8
gennaio 1976, durante un allenamento si infortuna gravemente. La diagnosi non
lascia speranze di recupero: lesione irreparabile alla colonna vertebrale. Da
allora vive in carrozzina.
Chiesi a Dio
di essere forte,
per eseguire
progetti grandiosi
ed Egli mi
rese debole per conservarmi nella umiltà.
Domandai a
Dio che mi desse la salute.
per
realizzare grandi imprese
ed Egli mi ha
dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli domandai
la ricchezza per possedere tutto
e mi ha
lasciato povero per non essere egoista.
Gli domandai
il potere perché gli uomini avessero bisogno di me
ed Egli mi ha
dato l'umiliazione
perché io
avessi bisogno di loro.
Domandai a
Dio tutto per godere la vita
e mi ha
lasciato la vita
perché io
potessi essere contento di tutto.
Signore, non
ho ricevuto niente di quello che chiedevo,
ma mi hai
dato tutto quello di cui avevo bisogno
e quasi contro
la mia volontà.
Le preghiere
che non feci furono esaudite.
Sii lodato, o
mio Signore: fra tutti gli uomini
nessuno
possiede più di quello che ho io!
Come vedete handy è anche bello. E per questo
penso anche che il Signore, come per tutti suoi figli , ha fatto anche di me un prodigio, come
dice il salmo 138:
Signore , tu
mi scruti e mi conosci,
tu conosci
quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da
lontano i miei pensieri,
osservi il
mio cammino e il mio riposo,
ti sono note
tutte le mie vie.
La mia parola
non è ancora sulla lingua
ed ecco,
Signore, già la conosci tutta.
Alle spalle e
di fronte mi circondi
e poni su di
me la tua mano.
Meravigliosa
per me la tua conoscenza,
troppo alta,
per me inaccessibile.
Dove andare
lontano dal tuo spirito?
Dove fuggire
dalla tua presenza?
Se salgo in
cielo, là tu sei;
se scendo
negli inferi, eccoti.
Se prendo le
ali dell’aurora
per abitare
all’estremità del mare,
anche là mi
guida la tua mano
e mi afferra
la tua destra.
Se dico:
«Almeno le tenebre mi avvolgano
e la luce
intorno a me sia notte»,
nemmeno le tenebre per te sono tenebre
e la notte è
luminosa come il giorno;
per te le
tenebre sono come luce.
Sei tu che
hai formato i miei reni
e mi hai
tessuto nel grembo di mia madre.
Io ti rendo
grazie:
hai fatto di
me una meraviglia stupenda;
meravigliose
sono le tue opere,
le riconosce
pienamente l’anima mia.
Non ti erano
nascoste le mie ossa
quando venivo
formato nel segreto,
ricamato
nelle profondità della terra.
Ancora
informe mi hanno visto i tuoi occhi;
erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che
furono fissati
quando ancora
non ne esisteva uno.
Quanto profondi
per me i tuoi pensieri,
quanto grande
il loro numero, o Dio!
Se volessi
contarli, sono più della sabbia.
Mi risveglio
e sono ancora con te.
Se tu, Dio,
uccidessi i malvagi!
Allontanatevi da me, uomini sanguinari!
Essi parlano
contro di te con inganno,
contro di te
si alzano invano.
Quanto odio,
Signore, quelli che ti odiano!
Quanto
detesto quelli che si oppongono a te!
Li odio con
odio implacabile,
li
considero miei nemici.
Scrutami , o
Dio, e conosci il mio cuore,
provami e
conosci i miei pensieri;
vedi se
percorro una via di dolore
e guidami per
una via di eternità.
Dopo la morte dei miei quattro fratelli, della
mia mamma Alice e infine, il 16 aprile del 1982, di mio papà Giulio, ho
iniziato a vivere “apparentemente” solo. Sono passati trent’anni e, in realtà,
Dio è stato sempre presente: non mi ha mai mollato un attimo. L’ho scoperto
nelle mie battaglie e leggendo il Vangelo, soprattutto quando lavoravo. Dopo
aver perso il lavoro, sono rimasto per vari anni senza un soldo e tante cose da
pagare, allora gli ho ricordato che anch’io ero suo figlio. Lo dice Lui stesso
in questo testo di Matteo:
Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di
venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre
vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi
dunque pregate così:
Padre nostro
che sei nei cieli,
sia santificato
il tuo nome,
venga il tuo
regno,
sia fatta la
tua volontà,
come in cielo
così in terra.
Dacci oggi il
nostro pane quotidiano,
e rimetti a
noi i nostri debiti
come anche
noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci
alla tentazione,
ma liberaci
dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre
vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi;
ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà
le vostre colpe.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli
ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che
digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma
solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e
ruggine consumano e dove ladri
scassìnano e rubano; accumulate invece
per voi tesori in cielo , dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non
scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo
cuore.
La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è
semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso;
ma se il tuo occhio è cattivo , tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se
dunque la luce che è in te è tenebra , quanto grande sarà la tenebra!
Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e
amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno
e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la
vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di
quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del
vestito? Guardate gli uccelli del cielo:
non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro
celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si
preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? Eppure io vi dico che
neanche Salomone, con tutta la sua
gloria, vestiva come uno di loro. E per il vestito, perché vi preoccupate?
Osservate come crescono i gigli del campo:
non faticano e non filano. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel
forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi
dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”.
Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti,
sa che ne avete bisogno. Cercate invece,
anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia , e tutte queste cose vi saranno
date in aggiunta (Mt 6,7-33).
E per tutto questo, Lo ringrazio, pian piano ho
scoperto, anche attraverso gli amici che ringrazio, la Sua Paternità, anche
leggendo la Bibbia dove c’è scritto:
Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio,
questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per
ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi,
per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al
nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche
eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue
sofferenze per partecipare anche alla sua gloria (Rom 8,14-17).
È da questo scritto di San Paolo, ho capito
definitivamente che Dio è sì il Signore dell’universo e della storia, ma è
anche mio Padre e Padre vostro e che Lui se noi lo vogliamo vuole condividere
la nostra vita. Difatti nella Bibbia e precisamente nel libro dell’apocalisse è
scritto:
Ecco: sto alla porta e busso . Se qualcuno ascolta la mia
voce e mi apre la porta, Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con Me (Ap 3,20).
Vedete, ho sempre pensato
che la parola ‘signore’ sia segno di rispetto. Dio è Signore, questo lo riconosco,
ma va detto e ricordato che questa parola si rivolge anche a persone
sconosciute. Per me la parola più bella è Padre, Papà, o più confidenzialmente
Papo, e ogni volta che devo prendere una decisione, coinvolgo sempre questo Padre
trinitario, il mio angelo custode, e qualche volta tutto il paradiso e il
Purgatorio. Un Padre così (è difficile trovarne un altro simile: Lui può tutto)
si è fatto bambino, assumendo la nostra stessa carne fragile, bisognoso di
tutto e di tutti, non gli è stato risparmiato niente: l’hanno insultato,
calunniato, frustato e crocifisso. L’ha fatto solo per Amore, perché noi
fossimo liberi dal peccato facendoci diventare figli adottivi di Dio e il
dolore, da maledizione, è diventato redentivo, perché dalle Tue piaghe noi
siamo stati guariti. Ha fatto nuove tutte le cose e vincendo la morte è risorto
e questa è la mia speranza e la vostra, perché io e voi siamo fatti per
l’eternità. Questo è il Dio della vita, è il Dio della gioia e della fraternità
che da secoli sta gridando inascoltato. Ci ha messo a disposizione la terra con
tutti i suoi beni e noi la stiamo distruggendo. Spesso molti cercano di
cancellare le sue tracce, togliendo il crocifisso e il presepe con la scusa di
non urtare chi la pensa e crede diversamente. Ma oggi come allora la Pietra,
che alcuni costruttori vogliono scartare, rimane testata d’angolo. A questo
Padre ho dedicato un sito Internet: www.amiopadre.eu a cui sono collegati vari miei blog sparsi in tutto il mondo e se
volete, possiamo rimanere in contatto attraverso questo sito o blog per
comprendere meglio questa Pietra scartata che è una meraviglia ai nostri occhi.
Handycapp
Paderno Dugnano, 27
maggio 2012