mercoledì 30 giugno 2010

QUELLA CROCE CHE FA PAURA

«Senza crocifisso l'Italia
non sarebbe più la stessa»
Dopo quasi tre ore, è terminata l'udienza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo sul caso del crocifisso. I giudici si sono ritirati per deliberare, ma la sentenza sarà comunicata solo tra diversi mesi. Quello di questa mattina è stato un fitto dibattimento che ha visto la presenza del magistrato Nicolò Lettieri che, a nome del governo italiano, aveva fatto ricorso dopo la sentenza del 3 novembre sorso, quando la Corte europea dei aveva dichiarato «ricevibile» il ricorso di Solie Lautsi che aveva chiesto di togliere il crocifisso dall’istituto frequentato dai figli. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato l’Italia a versare cinquemila euro alla Lautsi per danno morale.

Il ricorso dell'Italia era sostenuto da altri dieci altri governi. «L'Italia senza il crocifisso non sarebbe più l'Italia, come la Francia con il crocifisso non sarebbe più la Francia», ha detto Joseph Weiler, che rappresentava otto dei dieci governi cui la Corte di Strasburgo ha consentito di intervenire in difesa delle posizioni del governo italiano nel caso del crocifisso.
«Non penso che tutti coloro che cantano Dio salvi la regina credano in Dio, ma penso che sarebbero scioccati se si dicesse che questa frase va cambiata o tolta perchè offende qualcuno», ha argomentato Weiler. La tesi di Weiler assomiglia molto a quella esposta nella memoria del governo italiano: se si leva il crocifisso, poi si dovrà intervenire in mille altre circostanze per levare croci dalle bandiere, parole dagli inni nazionali, foto di capi di Stato dalle aule. «Magari un giorno la Gran Bretagna potrà decidere di cambiare o togliere questa frase -ha detto Weiler- ma questa non una decisione che può essere presa dalla Corte».

I dieci Stati europei che appoggiano l'Italia nella difendere i crocifissi nelle aule delle scuole pubbliche (tra cui Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Russia e San Marino) sostengono che si tratta di «un simbolo nazionale», oltreché religioso. «Il crocifisso – ha aggiunto Weiler - è rispettato anche dalla popolazione laica».
Weiler, che indossava la kippah ebraica, si è domandato se sia possibile ritirare un'immagine della regina d'Inghilterra dalle aule britanniche, perché è il capo della Chiesa anglicana. E la sua risposta è stata «no»; e ha aggiunto che il tribunale di Strasburgo non potrà dire un giorno se rimuovere il termine «Dio» dall'inno inglese, perché sarà «il popolo a deciderlo». Poi ha fatto notare che Soile Lautsi «vuole imporre all'Italia di essere uno Stato laico». In questo senso, i due rappresentanti del governo italiano, hanno affermato che Lautsi è «una militante atea» che «cerca di imporre nella scuola il suo concetto personale di laicismo».

Nicola Lettieri e Giuseppe Albenzio si sono detti contrari alla soppressione dei simboli religiosi, perché questo gioverebbe «a favore degli atei e degli agnostici razionalisti». Ma la religione, hanno aggiunto i due avvocati dello Stato, ha «una dimensione sociale, pubblica e collettiva». Dopo aver ricordato che in Italia si può andare a scuola anche con il velo islamico e che il piano di studi è «pluralista e alieno dal proselitismo e dall'indottrinamento», Lettieri ha concordato con Weiler nel ricordare che il crocifisso rappresenta «un sentimento popolare italiano» e ha aggiunto che il caso Lautsi «non è giuridico, ma politico e ideologico».

Anche la chiesa cattolica e ortodossa di Serbia hanno espresso il loro appoggio all'Italia, che contesta il divieto di esporre il crocifisso nelle scuole pubbliche. «Rispettiamo le opinioni e il pensiero di ogni cittadino di un'Europa multietnica e multiculturale, ma riteniamo che allo stesso modo i cristiani abbiano diritto alle loro opinioni e all'aperta espressione della propria appartenenza religiosa», si afferma in una dichiarazione della chiesa cattolica serba. In essa si aggiunge che la croce è il segno di una tradizione culturale-religiosa, che ha avuto un ruolo decisivo nella formazione della cultura europea. «La maggioranza delle popolazione europea è costituita da cristiani, e vietare di mostrare i simboli della fede cristiana offenderebbe il sentimento di tale maggioranza», aggiunge la dichiarazione.
Anche la chiesa ortodossa serba ha espresso il suo appoggio all'Italia nel ricorso alla Corte europea di Strasburgo sulla questione del crocifisso. «Speriamo che tale iniziativa trovi risposta positiva in seno alla Corte europea dei diritti dell'uomo», ha fatto sapere il Sinodo ortodosso in una nota.

«Credo che abbiamo tutte le carte in regola per un risultato positivo», ha dichiarato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, commentando l'udienza della Grande Chambre della Corte dei diritti dell'uomo. «L'udienza di oggi ha mostrato uno straordinario intervento del rappresentante italiano - ha dichiarato Frattini - e un intervento altrettanto importante di rappresentanti di dieci Paesi, un numero di parlamentari europei che si sono associati al nostro ricorso». Si tratta, ha concluso il capo della Diplomazia italiana, di «una grande battaglia per la libertà e per l'identità dei nostri valori cristiani».

Crocifisso, Europa alla prova
Potrebbe essere quello dell’avvocato Nicolò Paoletti a sostegno del ricorso della cittadina italiana di origine filandese, Soile Lautsi, il primo degli interventi nel dibattimento della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che riesamina la sua sentenza del 3 novembre contro l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Il risame si impone dopo il ricorso presentato dal nostro Paese il 28 gennaio scorso.

Successivamente Nicola Lettieri in difesa del nostro governo. E a sostegno delle memorie presentate da dieci Paesi membri del Consiglio d’Europa ( interverrà il giurista statunitense Joseph Weiler, un ebreo osservante, noto per i suoi scritti in favore della inclusione delle «radici giudeo-cristiane» nella costituzione europea. Poi a sostegno di un documento di trentatre membri del Parlamento europeo, tra cui Carlo Casini, presidente della Commissione affari costituzionali della "Camera" della Ue, si pronuncerà un legale della Alliance Defense Fund (Adf) una organizzazione di legali statunitensi cristiani con filiali anche in altri Paesi molto attiva nelle battaglie per i diritti dell’uomo, la libertà religiosa e la difesa della vita.

Le altre parti, organizzazioni non governative che sono intervenute nel dibattimento con la presentazione di documenti, come le Acli e l’European centre for law and justice Zentralkomitee des deutschen Katholiken, Semaines sociales de France e Associazioni cristiane lavoratori italiani, numerose a sostegno della posizione italiana, e qualcuna come l’Associazione nazionale del libero pensiero in accordo con le tesi della Lautsi.

Nel corso di queste arringhe i giudici della Grande Chambre potrebbero chiedere dei chiarimenti ai vari intervenuti. In conclusione ci saranno dieci minuti di replica dell’avvocato della Lautsi e dell’agente del governo italiano.

Comunque l’udienza non si concluderà con un verdetto. La Corte infatti ha già anticipato che saranno necessari da sei ai dodici mesi, prima che venga resa pubblica la decisione. In un recente caso tedesco sono trascorsi più di 14 mesi tra l’udienza in Grande Camera e la pubblicazione della sentenza finale. Come è noto la Corte è un organismo che fa parte del Consiglio d’Europa (Coe) a cui aderiscono 47 Paesi, e si fonda sulla Convenzione dei diritti dell’Uomo firmata a Roma nel 1950. Il Coe non deve essere confuso con l’Unione europea i cui membri sono 27. Al Cosiglio infatti ed alla corte dopo il crollo del comunismo dal 1990 hanno aderito numerosi Paesi dell’Est, tra cui la Russia. Ed è proprio la memoria a favore della posizione italiana della Federazione russa, Paese prevalentemente di religione prevalentemente ortodossa, insieme all’apporto di giuristi americani protestanti, e a quello dell’ebreo Weiler a smentire una delle tesi della sentenza del tre novembre, che il crocifisso sia un simbolo che interessi solo i cattolici.

In particolare l’Adf è una fondazione nata nel 1994 a Phoenix nell’Arizona da un gruppo di leader religiosi di varie professioni religiose: cattolici come anche ebrei e protestanti. Lo scopo dell’iniziativa è di coordinare e dare fondi ad avvocati che sono disposti a occuparsi di casi che coinvolgano libertà di religione, difesa della vita e difesa del matrimonio così come concepito dalla Costituzione italiana.
Pier Luigi Fornari

Battaglia di civiltà
Dieci Paesi con l’Italia «Quel simbolo non si tocca»
È una rappresentanza molto nutrita e diversificata di presenze quella che oggi sfilerà nella Corte europea dei diritti umani di Strasburgo in difesa del crocifisso. Oltre alle due parti direttamente in causa – Soile Lautsi e il Governo italiano – c’è anche un folto gruppo di parti terze che intervengono nel dibattimento alla Grande Chambre, e sotto questo profilo il piatto pesa nettamente a favore dell’Italia.

Ci sono ben dieci Paesi che hanno presentato memorie in difesa del crocifisso. E poi vi sono 33 parlamentari che hanno presentato un documento preparato dalla Alliance Defense Fund, una organizzazione di avvocati nata negli Usa, molto attiva in tutto il mondo a difesa dei diritti umani, della vita e della famiglia. Sono intervenute con un loro documento anche organizzazioni non governative cattoliche, le Acli, le Settimane sociali di Francia, il comitato centrale dei cattolici tedeschi. A favore della posizione italiana ha presentato una memoria anche il Centro europeo per la legge e la giustizia.

A sostegno della Lautsi, invece, c’è l’Associazione nazionale del libero pensiero. A difendere otto delle dieci nazioni che si sono costituite a favore della posizione italiana sarà il giurista Joseph Weiler, un ebreo osservante che si è già battuto per il riconoscimento delle radici giudeo cristiane dell’Europa. Secondo la Federazione Russa la sentenza ha ristretto il margine di discrezionalità degli Stati membri nelle questioni di libertà di religiosa ad una formula angusta, non tenendo conto delle differenze storiche e culturali dei Paesi europei, delle legittime diversità degli approcci nazionali e delle «imprevedibili conseguenze alle quali la sentenza può condurre».

La memoria russa conclude che esponendo i crocifissi nelle classi lo Stato chiamato a rispondere presso la Corte, cioè l’Italia, nell’adempiere la sue funzioni rispetto all’educazione e all’insegnamento, non ha mancato di assicurare che l’educazione e l’apprendimento siano impartiti in modo oggettivo, critico e pluralistico, rispettando anche le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori in accordo con la Convenzione come modificata nei vari protocolli. Anche i Bulgari ricordano alla Corte la sussidiarietà riaffermata dal Consiglio d’Europa nel 1995, e inoltre registrano una grande inconsistenza tra la sentenza del 3 novembre e i giudizi precedenti di Strasburgo in merito agli articoli della Convenzione citati.

Analogo il principio fondamentale assunto alla base del ragionamento dalla Lituania, che mette in chiaro come il simbolo religioso non possa essere interpretato in un <+corsivo>vacuum<+tondo>, e neppure le garanzie della Convenzione debbano essere intese non tenendo conto delle specificità degli Stati, particolarmente in una sfera dove non c’è consenso in Europa. La Romania non vede come la raccomandazione di togliere il crocifisso potrebbe servire a conciliare le religioni dei cittadini, in realtà togliendo la possibilità di manifestarle. Il Principato di Monaco, ricordando che i simboli religiosi figurano sulle bandiere di numerosi Stati, rileva che non sono di per sé una minaccia alle libertà previste della Convenzione. Anche l’Armenia è convinta che l’esposizione del crocifisso non priva i genitori del loro diritto di educare i figli in conformità con le loro convinzioni religiose e filosofiche. San Marino interviene in difesa dell’Italia anche perché preoccupato: nonostante le sentenze riguardino solo il caso specifico, la Corte ha invitato a più riprese gli Stati a modificare la legislazione per evitare casi analoghi.

Per Malta l’eliminazione di un simbolo della identità nazionale dallo spazio pubblico, per il fatto che ha anche un significato religioso per la maggioranza di quella comunità, appare incongrua e sproporzionata. Il governo greco individua nella sentenza contraddizioni con la giurisprudenza precedente, osservando che se la democrazia non può essere ridotta sempre alla supremazia costante dell’opinione maggioritaria, a più forte ragione non deve riservare alla maggioranza un trattamento ingiusto. Cipro infine, ricordando alla Corte che non ha competenza sull’ordinamento e la programmazione delle scuole, richiama il margine di valutazione che deve essere riservata ai singoli Stati.
Pierluigi Fornari
L'ANALISI
Cultura e storia unica bussola degli Stati
Il 28 gennaio scorso è stato presentato dall’Italia un ricorso alla sentenza pronunciata il 3 novembre. Il documento tra l’altro ha sottolineato che «imporre a uno Stato di rimuovere il simbolo religioso che esiste già e la cui presenza è giustificata dalla tradizione del Paese (senza che questo simbolo obblighi all’adesione di fede), implica un valore negativo contro ciò che rappresenta questo simbolo e viola la libertà religiosa». Inoltre il ricorso del governo chiede «se la semplice presenza di "inerti", come il crocifisso, possa turbare la coscienza del non credente, o se, invece, non si utilizzi questo turbamento per manifestare una vera intolleranza della dimensione religiosa».

Peraltro, argomenta il ricorso, «la neutralità assoluta dello Stato in materia religiosa è una chimera». Infatti qualsiasi normativa in materia «può essere un modo, una posizione che può offendere la sensibilità di un certo numero di persone, come è inevitabile e riconosciuto dalla stessa Corte. Così, in questo caso, le persone di fede potrebbero sentirsi offese per il fatto di non poter vedere il loro simbolo religioso sul muro». In proposito, il ricorso cita il giurista ebreo Joseph Weiler, il quale ha osservato che «la rinuncia da parte di uno Stato a tutte le forme di simbolismo religioso non è una posizione più neutrale di quella di chi aderisce a una forma di simbolismo religioso determinato». Nel contesto della realtà storica e della cultura italiana, rimuovere il crocifisso dalle pareti delle scuole non ha nulla a che fare con il comportamento di uno Stato veramente laico, ma, ancora citando Weiler, «significa semplicemente che si concentrano nel simbolismo dello Stato, una visione del mondo piuttosto che un’altra, passando per tutte le neutralità».

Il ricorso accenna, infine, al principio di sussidiarietà: «Inoltre, come riconosciuto dalla stessa Corte, le autorità nazionali hanno una notevole discrezionalità in una materia così complessa e delicata, strettamente legata alla cultura e alla storia». Poiché «la neutralità si oppone allo stato confessionale che promuove apertamente una particolare religione, ma anche allo stato basato su un secolarismo militante che promuove l’agnosticismo o l’ateismo, ne consegue che l’incompetenza dello Stato a rispondere a domande sulla trascendenza non può condurre anche alla promozione di ateismo o di agnosticismo con l’eliminazione dei simboli religiosi dalla vita pubblica».

La memoria dell’Italia presentata il 30 marzo ribadisce che l’errore della Corte è proprio questo: «optare per la neutralità, mentre si realizza, in effetti solo una posizione di vantaggio a favore di un atteggiamento a-religioso o anti-religioso; la prova è che in questo caso, la ricorrente, che è partner della Uaar (Unione degli ates e degli agnostici, razionalisti) agisce in quanto ateo militante. Il suo scopo è semplicemente quello di ottenere, con il pretesto della laicità dello Stati, che la sua ideologia a-religiosa o addirittura anti-religiosa prevalga: in questo caso sulla religione professata dalla maggioranza della popolazione, e, come vedremo in seguito, contro la volontà della stragrande maggioranza degli altri genitori. Il riferimento alla laicità dello Stato fatto dal ricorrente (la quale laicità non ha alcun fondamento nella Convenzione) non è che una invocazione per imporre una ideologia a-religiosa o anti-religiosa per qualsiasi religione e cancellare la tradizione del Paese ospitante».

Secondo la memoria inoltre la Corte si basa su «una concezione strettamente individualistica della religiosità», che non si attaglia all’Italia e ad altri Paesi europei. Il documento cita la ricerca fatta dal professor Carlo Cardia, in cui si sostiene che il concetto di neutralità in Italia è molto diverso dalla laicità francese; è più benevolo verso qualsiasi tipo di religione, ma tuttavia anche coerente alla Convenzione. Sulla base dell’analisi dei pronunciamenti passati si osserva poi che in applicazione del principio di sussidiarietà «la Corte ha riconosciuto che le autorità nazionali sono in una posizione migliore rispetto al giudice europeo per valutare le situazioni locali e l’applicazione della Convenzione a queste specifiche realtà. Al tal fine la Corte riconosce agli Stati membri un "margine di discrezionalità nazionale", strettamente correlato al grado di "consenso" esistente tra i Paesi europei».

Degno di nota infine quanto decise nel gennaio del 2006 la sesta sezione del Consiglio di Stato ponendo fine alla vicenda in Italia. L’esposizione del crocifisso anche per i non credenti «è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civilità italiana».
Pier Luigi Fornari


Crocifisso: LE TAPPE
23 LUGLIO 2002 Solie Lautsi impugna al Tar Veneto la decisione del consiglio dell’istituto frequentato dai figli di mantenere il crocifisso nelle aule scolastiche. Il Tar pone il problema alla Consulta.

DICEMBRE 2004 La Consulta dichiara la questione inammissibile perché attinente norme regolamentari.

MARZO 2005 Il Tar rigetta il ricorso.

13 FEBBRAIO 2006 Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del Tar individuando nel crocifisso un valore laico costituzionale. Luglio 2006 la Lautsi ricorre alla Corte di Strasburgo.

3 NOVEMBRE 2009 La Corte dichiara ricevibile il ricorso e condanna l’Italia a versare cinquemila euro alla Lautsi per danno morale.

28 GENNAIO 2010 Ricorso del governo italiano con cui si chiede che la questione sia rinviata alla Grande Chambre

2 MARZO 2010 Un comitato della Corte dichiara «ricevibile» il ricorso italiano

30 APRILE 2010 L’Italia presenta una memoria ulteriore a riguardo

30 GIUGNO 2010 Il ricorso italiano viene discusso davanti alla Grande Chambre. Dieci Stati membri del Consiglio d’Europa hanno presentato memorie a sostegno dell’Italia.

AVVENIRE

martedì 29 giugno 2010

LA LIBERTA' DI DIO

«Cristo ci ha liberati per la libertà!»
Cari fratelli e sorelle!

Le letture bibliche della santa Messa di questa domenica mi danno l’opportunità di riprendere il tema della chiamata di Cristo e delle sue esigenze, tema sul quale mi sono soffermato anche una settimana fa, in occasione delle Ordinazioni dei nuovi presbiteri della Diocesi di Roma. In effetti, chi ha la fortuna di conoscere un giovane o una ragazza che lascia la famiglia di origine, gli studi o il lavoro per consacrarsi a Dio, sa bene di che cosa si tratta, perché ha davanti un esempio vivente di risposta radicale alla vocazione divina. E’ questa una delle esperienze più belle che si fanno nella Chiesa: vedere, toccare con mano l’azione del Signore nella vita delle persone; sperimentare che Dio non è un’entità astratta, ma una Realtà così grande e forte da riempire in modo sovrabbondante il cuore dell’uomo, una Persona vivente e vicina, che ci ama e chiede di essere amata.

L’evangelista Luca ci presenta Gesù che, mentre cammina per la strada, diretto a Gerusalemme, incontra alcuni uomini, probabilmente giovani, i quali promettono di seguirlo dovunque vada. Con costoro Egli si mostra molto esigente, avvertendoli che "il Figlio dell’uomo – cioè Lui, il Messia – non ha dove posare il capo", vale a dire non ha una propria dimora stabile, e che chi sceglie di lavorare con Lui nel campo di Dio non può più tirarsi indietro (cfr Lc 9,57-58.61-62). Ad un altro invece Cristo stesso dice: "Seguimi", chiedendogli un taglio netto dei legami familiari (cfr Lc 9,59-60). Queste esigenze possono apparire troppo dure, ma in realtà esprimono la novità e la priorità assoluta del Regno di Dio che si fa presente nella Persona stessa di Gesù Cristo. In ultima analisi, si tratta di quella radicalità che è dovuta all’Amore di Dio, al quale Gesù stesso per primo obbedisce. Chi rinuncia a tutto, persino a se stesso, per seguire Gesù, entra in una nuova dimensione della libertà, che san Paolo definisce "camminare secondo lo Spirito" (cfr Gal 5,16). "Cristo ci ha liberati per la libertà!" – scrive l’Apostolo – e spiega che questa nuova forma di libertà acquistataci da Cristo consiste nell’essere "a servizio gli uni degli altri" (Gal 5,1.13). Libertà e amore coincidono! Al contrario, obbedire al proprio egoismo conduce a rivalità e conflitti.

Cari amici, volge ormai al termine il mese di giugno, caratterizzato dalla devozione al Sacro Cuore di Cristo. Proprio nella festa del Sacro Cuore abbiamo rinnovato con i sacerdoti del mondo intero il nostro impegno di santificazione. Oggi vorrei invitare tutti a contemplare il mistero del Cuore divino-umano del Signore Gesù, per attingere alla fonte stessa dell’Amore di Dio. Chi fissa lo sguardo su quel Cuore trafitto e sempre aperto per amore nostro, sente la verità di questa invocazione: "Sei tu, Signore, l’unico mio bene" (Salmo resp.), ed è pronto a lasciare tutto per seguire il Signore. O Maria, che hai corrisposto senza riserve alla divina chiamata, prega per noi!

mercoledì 9 giugno 2010

SE L'AMORE....

Se taci, taci per amore; se parli, parla per amore; se correggi, correggi per amore; se perdoni, perdona per amore...♥... (Sant'Agostino)