mercoledì 18 febbraio 2009

ANCHE NEL DOLORE LA VITA E' VITA...

EDITORIALE
Nel dolore a testa alta: il più grande sì alla vita
Dal Messaggio dei vescovi un forte richiamo alla vicinanza con chi soffre. Perché le scelte di morte, dall’aborto all’eutanasia, siano sconfitte dalle scelte di vita
Sofferenza e forza della vita. C’è uno stretto confine tra le due espressioni che i vescovi hanno scelto per dare un titolo al Messaggio per la 31ª Giornata nazionale per la vita. È la sottile terra di nessuno in cui ci ritroviamo sempre più spesso. Quando? Ogni volta che incontriamo una sofferenza, nostra e altrui; e siamo chiamati a darle una risposta.La sofferenza è tanta. A volte è clamorosa, manifesta, gridata e si impone perfino sui mass-media. Molto più spesso è silente e nascosta e si consuma nell’ombra. Il Messaggio evoca alcune di queste forme di sofferenza. Soffre la donna che non riesce ad accettare la vita che le sta crescendo in grembo, soffre fino al punto di considerare quella vita una minaccia, la causa di ulteriori disagi e nuove sofferenze. Soffre chi è affetto da malattie degenerative che senza scampo gli chiudono ad una ad una tutte le finestre sul mondo: muoversi, parlare, toccare, accarezzare, sorridere, gustare il cibo, comunicare… Soffrono i parenti di chi vede il proprio caro in coma, per giorni, mesi e anni, e non intravedendo una via d’uscita soffrono d’una sofferenza che solo loro possono conoscere. Soffre, in generale, chi è solo e non è amato da nessuno. Soffre chi ha perso - forse non ha mai avuto davvero - uno scopo per vivere e si trascina giorno dopo giorno come chi cammina nella nebbia, tutta uguale e tutta insensata.A tutte queste forme di sofferenza è possibile dare sostanzialmente due risposte: di morte o di vita. Da una parte o dall’altra del confine. La prima è sicuramente più facile e sbrigativa, a tal punto che alcuni la spacciano per la vera "scelta dettata dall’amore". La seconda è più difficile e può accadere che molte persone "di confine" abbiano la sensazione di non possedere la forza necessaria per farcela.La scelta della morte è una porta che si chiude per sempre. La scelta della forza della vita è una porta che si apre: alle relazioni, ad uno scopo, a nuovi progetti. La scelta della morte è un grande "no". La scelta della forza della vita è un grande "sì", a dimostrazione che questo soprattutto la Chiesa dice: sì. Il Messaggio è pieno di sì. Sì all’amicizia, alla vicinanza, alla solidarietà. Sì alle cure palliative. Sì alla ricerca, quella che cerca i rimedi e allevia la sofferenza. Sì agli interventi che consentano a tutti di comunicare e vivere una vita degna, anche se costretta in una carrozzella o in un letto. Di no ce n’è uno solo: alle scelte di morte. No all’aborto, l’opzione di chi pensa di alleviare così la propria sofferenza e non sa che ne genera altra, condannandosi a convivere con una ferita che mai si potrà rimarginare del tutto. No all’eutanasia, anche se spacciata per diritto all’autodeterminazione. No a tutto ciò che renda l’uomo simile ad un oggetto, a una merce, a un ingombro.Da un lato la sofferenza, dunque. Dall’altro la forza; anzi la fortezza, virtù di chi vive la propria vita, e la propria sofferenza, a testa alta. È la virtù più preziosa in un tempo, il nostro, che appare dominato dall’accidia, la vera e profonda causa della sofferenza. Accidia: una parola estranea al nostro vocabolario. Potremmo tradurla con negligenza, indifferenza, trascuratezza, instabilità, pessimismo, sconforto, noia, ma senza cogliere nel segno. Accidia, oggi, è la condizione di chi non padroneggia la propria vita, non sa darle una direzione, ha smarrito lo scopo. Di chi detesta tutto ciò che ha e desidera tutto ciò che non ha, salvo detestarlo non appena se ne impossessa. Di chi non sa più perché sta vivendo. È la condizione del consumista triste convinto che la soluzione più "facile" e sbrigativa sia sempre e comunque la migliore. Fosse pure la morte. L’accidia è l’incapacità di sentir vibrare il proprio cuore, di appassionarsi davvero alla famiglia e alla professione, di perseguire un grande progetto di vita. Se ciò è vero, l’accidia è forse il più diffuso vizio sociale e ciò che sta dietro i cento volti della sofferenza dell’uomo d’oggi. È una condizione che, in epoca non sospetta, ben descriveva Gustave Flaubert: "Mi sembra di attraversare una solitudine senza fine, per andare non so dove".Eccolo dunque il confine. È tra accidia e fortezza, quella "forza della vita" che i vescovi additano a tutti gli uomini che vogliono resistere e dare una speranza a sé e agli altri. Un altro scrittore, John R. R. Tolkien, nel suo capolavoro, Il signore degli anelli, la incarna in Frodo, il piccolo hobbit con un compito immane, non un eroe ma un individuo fragile e normale, soggetto a tristezze e tentazioni. Eppure con due grandi risorse: la fede e gli amici. Tolkien ci dice che sulla strada verso la fortezza non siamo soli. Gli uomini, e specialmente i cristiani, sono un popolo. Si fanno compagnia: la Compagnia dell’anello, che nasce a Gran Burrone su mandato di Elrond, re degli elfi. Una compagnia di uomini, nani, elfi e hobbit: hanno bisogno gli uni degli altri per la salvezza della Terra.
di Dino Boffo

giovedì 12 febbraio 2009

MA ALLA FINE, VINCERA' LA VITA!!!

ELUANA/ Il padre di Terri Schiavo: c’è una speranza più forte del dolore
Redazione
mercoledì 11 febbraio 2009

Riceviamo e pubblichiamo in esclusiva la lettera che Bob Schindler senior, padre di Terri Schindler Schiavo, saputo della morte di Eluana, ha inviato a ilsussidiario.net, dopo la sua prima lettera di domenica scorsa indirizzata a Beppino Englaro.

Siamo molto addolorati nel sentire di Eluana e pieni di tristezza per lei. Aveva solo 38 anni. Eluana è morta solo quattro giorni dopo che i medici hanno cominciato ad interrompere la sua alimentazione e idratazione, con l’intento di causarne la morte.
Tristemente, la morte di Eluana ci ricorda ancora le parole di Papa Giovanni Paolo II. L’averle tolto cibo e acqua, cioè l’assistenza di base, così da farla morire, è una cosa che riguarda tutti noi e il modo in cui ci prenderemo cura di quelli che hanno bisogno del nostro amore e della nostra compassione per continuare a vivere.
Per la nostra famiglia non passa giorno che noi non pensiamo alla nostra amata Terri e stiamo ancora soffrendo molto per una perdita così grande. Da quando Terri è morta, abbiamo deciso di portare avanti il suo lascito di vita e di amore, così che il suo sacrificio non sia avvenuto invano e, cosa più importante, che altri possano evitare lo stesso terribile destino.
Una cosa che sappiamo è che la questione non muore con Terri o Eluana, perché ci sono decine di migliaia di persone che vivono con lo stesso tipo di infermità. E le loro vite sono estremamente vulnerabili al crescente pregiudizio contro chi soffre di una infermità cognitiva.
Dopo la morte di Terri, la nostra famiglia ha dato vita alla Terri’s Foundation, per poter sostenere le persone con gravi danni cerebrali che sono in pericolo di essere uccise, in base a questa crescente tendenza a considerare la loro vita come “non degna di essere vissuta”.
Noi siamo profondamente addolorati per l’inutile morte di Eluana, ma siamo pieni di speranza che sempre più persone diventino coscienti di come viene trattato chi soffre di infermità come quelle di Terri ed Eluana, e che il nostro mondo cominci a dare valore alle loro vite, piuttosto che eliminarle.
Noi preghiamo perché il padre di Eluana e tutti quelli che hanno preso parte nella sua morte possano un giorno ridare valore alla vita e capire che tutte le persone sono state create con pari dignità e rispetto, non importa quale infermità possano avere.
Ciò che dà qualità e valore alla vita è l’amore. Amare ed essere amati è ciò che dà valore alla vita. L’amore è l’arbitro ultimo della vita. L’eutanasia è l’abbandono dell’amore. Dove c’è amore, c’è speranza.


Robert Schindler Sr e la famiglia di Terri

www.amiopadre.eu

martedì 10 febbraio 2009

PADRE, PERDONA LORO....

10 febbraio 2009
Parla il parroco della Quiete
Si è tornati all’antica barbarie
Don Cristiano Cavedon e gli ultimi giorni di Eluana: “Nessuna etica: questo è omicidio, puro e semplice”
Padre Cristiano Cavedon è il rettore del santuario Madonna delle Grazie, la parrocchia nel cui territorio sorge la casa di riposo “La Quiete”. Conosce bene il mondo della sanità. Ha lavorato per anni come infermiere negli ospedali, è stato in missione in Africa, quindi al Policlinico Gemelli di Roma come assistente ecclesiastico degli studenti di Medicina. A gennaio, sul bollettino parrocchiale era intervenuto con molto vigore sulla vicenda di Eluana, una serie di domande incalzanti e un sigillo: “Per noi non potrà che essere considerata una martire”. Ha accettato di riparlarne col Foglio prima che arrivasse la notizia della morte di Eluana. “Ho preso la parola perché mi ha disturbato il modo con cui è stata affrontata la vicenda. Mi disturba che un tribunale intervenga, che sia necessario creare una squadra di esecuzione, che una struttura pubblica diventi esecutrice di morte. Si è emessa una sentenza su una persona senza una legge sostanziosa a cui rifarsi. A cosa si sono riferiti i giudici, a un pensiero, a un’opinione? Quando studiavo Diritto canonico mi spiegavano che non ci si basa su opinioni ma su elementi solidi. Certo, potrei partire anch’io dal sentimento popolare, dalla gente che solidarizza con quel papà che non ne può più – e dopo diciassette anni si capisce, perché non è più la figlia che sperava e che avrebbe desiderato e non accetta quello che gli è capitato. E’ comprensibile che lui volesse in qualche modo farla finita ma ora tutto ciò non riguarda più solo sua figlia, è un modo per aprire le porte all’eutanasia”. Perciò lei parla di strumentalizzazione. “Quando mi portano in casa un problema del genere la discussione non è più teorica, diventa un fatto pratico, pastorale. Io sono il responsabile di una parrocchia della città, ho una chiesa dove abbiamo sempre pregato per la vita. Il nostro santuario è il più frequentato del Friuli, intitolato alla Madre della vita e della grazia, e da sei secoli è il punto di riferimento della fede e delle tradizioni popolari friulane”.
Padre Cristiano è dell’ordine dei Servi di Maria, lo stesso del grande poeta furlan David Maria Turoldo. Lui non è di qui, è veneto, ed è un fatto che ha il suo peso da queste parti. “Sono stato uno dei pochissimi preti in diocesi a intervenire, quasi tutti sono restii. E’ un po’ nel carattere dei friulani: non perché non pensino certe cose, ma preferiscono mantenere un profilo basso. Sono schivi, defilati, non amano parlare in pubblico ma interiormente sono convinto che la pensino come me, come tutta la chiesa”. Il priore è preoccupato soprattutto per i giovani. “La stragrande maggioranza di loro era per la soppressione della vita a Eluana, senza nemmeno rendersi conto che si tratta di omicidio. Non ha nessuna possibilità di riprendersi… Che cosa la teniamo a fare in questo stato… Meglio farla finita. Cose così. Questo mi allarma. Cosa sta passando nelle nuove generazioni? Quando avranno trenta o quarant’anni potrebbero recuperare alcune idee naziste”. Pratiche eugenetiche? “Certo. Potrebbero dire che i bambini handicappati gravi non servono – già qualche medico dice alle mamme di non partorirli”.
La famigerata selezione prenatale. “Di questo passo avremo anche una selezione postnatale; d’altronde, cosa tenere a fare questi sgorbi della natura? La vita è bella solo se è piena di salute, allegria, tanti soldi. La vita è bella se non è sofferenza. Ma così viene a mancare del tutto quello che questa terra ha sempre vissuto in passato: lavoro, fatica, sofferenza e poche gioie”. Secondo don Cristiano è in atto una rimozione della memoria. “Sta crescendo un generazione che non ha conosciuto la sofferenza. Io stesso sono nato dopo la Seconda guerra mondiale e sono espressione della prima generazione di italiani che arriva alla vecchiaia senza averne fatto una. Per fortuna. Ma chi non ha fatto grandi fatiche e non è passato attraverso il crogiolo della sofferenza farà più difficoltà ad accettarla. Le nuove generazioni non vogliono patire, non vogliono capire che la sofferenza è parte integrante della vita. La sofferenza va vissuta come un fatto positivo. Abbiamo colpa anche noi preti. Con il Giubileo abbiamo abituato i giovani ai grandi eventi, ma sul quotidiano non riusciamo a intercettarli”. Eluana, che diciassette anni fa era una ragazza nel pieno della vita, ha interpellato i giovani. “Che però hanno dato delle risposte molto facili: poveretta lei, poveretto il papà, meglio che una vita così finisca”.
Molti dicono che la chiesa è incapace di compassione. “Ma la compassione non è lasciar fare. Altrimenti bisognava che fossero uccisi i sopravvissuti dei campi di concentramento che avevano alle spalle un’esperienza tremenda, si doveva averne compassione e farla finita. Invece io avrò compassione di Beppino Englaro nel momento in cui dirà: ho sbagliato. Non c’è nessun atto di male che non ci lasci rimorso. Non c’è coscienza così tranquilla che riesca a fare qualunque porcheria senza sentire rimorso”. Eppure molti ritengono che le parole e i gesti messi in atto dalle istituzioni laiche ed ecclesiastiche in questi giorni siano state un’espropriazione della coscienza in nome di un’autorità soffocante. “Dall’altra parte c’è però l’individualismo: io decido per me tutto quello che voglio, il bene e il male. Questa è una coscienza cresciuta senza rendersi conto che nessuno è mai da solo. Vedo che sta venendo meno la responsabilità comunitaria. Manca un’etica condivisa, ogni gruppo ha la propria che si scontra con quella degli altri. Se si dice che per tutti è possibile vivere dignitosamente, mi va bene, ma quando si dice che si fa morire dignitosamente Eluana, qui non c’è nessuna etica né professionale né di altro tipo. Questo è omicidio, puro e semplice.
Lei ha lavorato a lungo negli ospedali. “Anche in sala operatoria, e ho visto un sacco di gente morire. Ma in questa vicenda si stanno millantando delle favole. Siamo seri: volete che la gente non viva più in certe situazioni, viva solo se sana e bella? Allora ditelo chiaramente. Però questo è razzismo e nazismo. Mio padre è stato in carcere due volte, una per colpa dei fascisti e una per colpa dei nazisti, ho due fratelli missionari morti in Africa, io stesso ho dato il sangue a un bambino africano. Perciò non voglio essere tra coloro che permettono queste cose. Piuttosto che togliere la vita agli altri, preferisco dare la mia. Questo è il cristianesimo, questa è la differenza della nostra posizione”. C’è invece chi avverte una certa tiepidezza nella comunità cristiana. “Dopo la mia lettera molti parrocchiani mi hanno ringraziato perché finalmente qualcuno si era esposto. Il problema è che non si devono muovere solo i preti o il Papa. Oggi manca una presa di posizione delle comunità, ci sono solo voci isolate. Ma chi rappresentano? E d’altra parte Beppino Englaro e i suoi chi rappresentano se non una minoranza che vuole imporre una legge a tutta la popolazione?”. In realtà sembra che godano di ampio consenso. “Non semper maior pars est meior pars, diceva san Tommaso. Non bisogna ragionare in termini di quantità ma di qualità. Quando Pannella tanti anni fa fece una battaglia a favore di bimbi maltrattati nel mondo, io lo sostenni perché non guardo l’appartenenza politica. Oggi invece manca la capacità di giudicare le proposte. Basta vedere l’informazione: se c’è una voce dev’esserci per forza la controvoce, ma che parità è?”.
C’è anche chi invoca il silenzio. “Qualcuno è saturo, non ne può più. Anche perché il giornalismo è molto invasivo e le inchieste sono fatte in maniera scorretta, si manipolano gli interventi. Ma la gente queste cose le capisce e chiede luoghi di riflessione autentici. Le sceneggiate alla Santoro non so a chi servano, forse a lui”. La chiesa investe abbastanza in questo lavoro nella formazione delle coscienze? “Di Giovanni Paolo II mi ha sempre impressionato la capacità di ricondurre il particolare in un orizzonte globale. Il Papa attuale lo apprezzo moltissimo perché torna a dare fondamenti e direttive, e poi finalmente si torna alla teologia. In realtà nella chiesa i punti di riferimento per i giovani non sono tantissimi. Ma la chiesa non può fornire un’offerta qualsiasi, deve distinguersi per la qualità del messaggio religioso, fatto di lettura della Parola di Dio, di preghiera e di accoglienza”. E in grado di parlare al mondo. “Su questa vicenda è chiaro che io non mi accodo. Questa era una vita che soffriva. Non era spenta, non era morta. Era una vita che soffriva e andava rispettata come qualsiasi altra vita che soffre. E’ un discorso così vasto è ha implicazioni così varie che va addirittura oltre l’ipotesi di una legge sull’eutanasia. Si è tornati all’antica barbarie: costui non serve né per la guerra né per il lavoro, quindi eliminiamolo. Quando nascono i volontari della morte, questa è barbarie. E uno che si è candidato a fare il boia con che animo tornerà ora dai suoi pazienti? Di quale professionalità ci fideremo quando entreremo in un ospedale d’ora in poi? Io lascerei per iscritto di non essere portato da un primario del genere. Ma con quale animo uno d’ora in poi andrà alla ‘Quiete’? Lì ci sono cinquecento anziani che sperano di passare gli ultimi giorni della loro vita assistiti e curati dignitosamente. Tra l’altro è un istituto che ha già avuto due denunce per maltrattamenti. Una casa in cui si porta una persona per farla morire, non perché sta morendo. Il concetto è diverso”.
Per qualcuno era già morta diciassette anni fa. “Tutte balle, diciassette anni fa non si è firmato un certificato di morte e non si è fatto un funerale. Tutto questo rischia di innescare reazioni sociali e politiche. Tra un po’ ci sono le elezioni. Sicuramente qualcuno si candiderà e così si compirà la strumentalizzazione della passione e morte di Eluana. Sempre che non ci sia dell’altro”. Si spieghi. “Mi vengono i brividi solo al pensarlo. Dietro potrebbe esserci un progetto di studio con un accordo preventivo. Eluana muore, verrà fatta l’autopsia, il cervello verrà tolto… La mia è solo una sensazione, ma non mi stupirei. Quando sulle ambulanze portavo da Schio a Vicenza i giovani che raccoglievo per strada in coma, l’ospedale li teneva solo nel caso in cui non solo potevano rianimarli ma anche nel caso potessero servire come donatori di organi; se la possibilità non c’era, spesso non li accettavano nemmeno. Io ho lavorato e bazzicato in questi ambienti e so che ci sono tante logiche, non tutte limpide”.
di Marco Burini DA IL FOGLIO

mercoledì 4 febbraio 2009

eluana 2

ELUANA/ 2. Una morte legale? Sì, come erano legali gli schiavi e le stelle gialle degli ebrei...
Assuntina Morresi
mercoledì 4 febbraio 2009

C’è una guardia giurata al terzo piano della clinica “La Quiete” a Udine. Controlla che nessuno entri nella stanza di Eluana Englaro, la prima persona in Italia che morirà di fame e di sete con l’autorizzazione dei giudici.

L’hanno portata via da Lecco con un’ambulanza, a notte fonda, nel buio, come ladri, e sono entrati in clinica da un ingresso laterale.

I volontari che faranno morire di fame e di sete la donna in stato vegetativo – una donna che respira da sola, che dorme e si sveglia, apre e chiude gli occhi, che deglutisce, che ha le mestruazioni, di cui nessuno è veramente in grado di dire se e cosa pensa, se e cosa prova – hanno costituito un’associazione, si chiama “per Eluana”. Ne fanno parte Amato De Monte, primario, e altri medici e tecnici specializzati.

L’hanno costituita dal notaio nei giorni scorsi.

Giudici, avvocati, notai: la morte per fame e sete di Eluana Englaro cerca di coprirsi con il manto della legalità. Ma la legalità e la giustizia non sono la stessa cosa: erano legali gli schiavi, e anche le stelle gialle degli ebrei.

La morte di Eluana, se avverrà per fame e per sete come descritto dai giudici, sicuramente non ha niente a che vedere con la giustizia, ed ha anche molte ombre per come la sua volontà è stata ricostruita.

Troppe le testimonianze discordi con quelle raccolte dalla Corte di Appello di Milano: almeno tre amiche, sue compagne di scuola, hanno dichiarato di non aver mai sentito Eluana dire che sarebbe stato meglio per lei morire piuttosto che vivere in certe condizioni, così come anche due suoi insegnanti (uno è adesso Preside di Giurisprudenza a Piacenza); c’è poi una lettera mai messa agli atti che contraddice quanto invece dedotto dai giudici. Ma questi fatti, resi pubblici da luglio – sul quotidiano Avvenire – e raccolti da un esposto presentato alla Procura di Milano, sono stati finora bellamente ignorati da chi aveva invece il compito di accertare la verità.

Se eseguiranno il decreto della Corte di Appello, Eluana morirà, e diranno che sarà morta naturalmente. Ma se c’è una morte innaturale, è proprio quella per fame e per sete. Si muore di malattia, di vecchiaia, per un incidente, una caduta: i morti per fame e per sete stanno nei paesi dimenticati da Dio, colpiti dalle carestie o dalla guerra, e di solito è uno scandalo quando nessuno li soccorre. Ma questo succedeva prima. Adesso, nel mondo alla rovescia che ci circonda, la fame e la sete pare siano diventati un segno di civiltà. Con la benedizione dei giudici, dei benpensanti, dei media, di Repubblica e del Corriere.

La vicenda di Eluana sarà di fatto uno spartiacque per il nostro paese, comunque si concluderà, non solo per le lacerazioni ed il pesantissimo clima conflittuale che vediamo già crescere furiosamente in queste ore.

L’ostinazione con cui è stata condotta questa vicenda, l’insistenza con cui si è cercato di far morire Eluana in una struttura pubblica, soprattutto in questi ultimi mesi e giorni, va ben oltre la battaglia personale di suo padre. E’ un’azione per portare nel nostro paese una mentalità e soprattutto una legislazione eutanasica, senza il confronto con il consenso popolare – come è stato per il referendum sulla legge 40, o per i DICO – ma che si è servita dei giudici i quali, come è noto, non sono espressione della volontà popolare, e le leggi non dovrebbero farle, ma cercare di farle rispettare.

E’ un’azione per distruggere, nel nostro paese, un sentire popolare e un tessuto sociale che, nonostante tutto, ancora possono definirsi cristiani. Bisogna esserne consapevoli.

eluana deve vivivere!!

Se questa è una donna che va portata a morire
Al mattino, come tutti noi, apre gli occhi. Più tardi, come capita a tanti disabili, viene sottoposta a fisioterapia. Nel pomeriggio, quando il tempo lo permette, è accompagnata in giardino per la passeggiata. Ecco la quotidianità di Eluana. Fino a ieri. IL RISVEGLIO Risveglio: per tutti noi un gesto quotidiano, l’alzarci dal letto e affrontare una nuova giornata. Per le persone in stato vegetativo invece una parola che assume tutto un al­tro significato: se avvenisse, vorrebbe dire il ritorno a una vita piena e consapevole... Risveglio: la meta agognata da parenti che attendono anni, a volte decenni. Il 'miracolo' che una volta ogni tanto avviene. Di recente è successo alle porte di Milano: Massimiliano, rimasto nel suo limbo lontano per oltre un decennio, ha improvvisamente alzato un braccio e ha ri­preso la trama della vita dal punto in cui l’aveva lasciata, da un gesto antico quanto la sua esi­stenza, quell’abbraccio con cui prima dell’incidente cingeva il collo di sua madre per baciarla. Per Eluana 'questo' risveglio non c’è stato, forse non ci sarà mai, forse invece è dietro l’ango­lo. Chissà. Ma anche lei, come tutti, saluta il mattino con la prima azione di ogni uomo vivo: a­pre gli occhi. Chi si immagina Eluana come un essere inanimato, un corpo sempre dormiente, è lontano da una realtà molto più semplice e in fondo commovente: i grandi occhi neri di E­luana ad ogni sorgere del sole si aprono al mondo. Si richiuderanno solo all’arrivo della sera... LA FISIOTERAPIA Non ci sono macchinari intorno al letto di Eluana, non monitor, non grovigli di fili, né spettrali bip bip, freddi e disumani come echi di un altro mondo. Il suo letto ha solo lenzuola candide e biancheria profumata: nulla più. E intorno al suo corpo si danno da fare a turno quattro fisioterapisti: non sta mai 'ferma', Eluana, grazie a loro, e così braccia e gambe sono tornite, non avvizzite e magre, il viso è paffuto, la pelle morbida come un velluto. Ogni giorno le suore la spalmano di creme e pettinano i suoi capelli ancora nerissimi... «Staccare la spina», si dice, ma si fa presto: non c’è niente che si possa staccare, perché Eluana a niente è 'attaccata' se non, tenacemente, alla vita. Non le hanno nemmeno ferito la gola con la tracheotomia perché respira come tutti noi, autonomamente, non c’è traccia di cannule o tubi, niente che la possa infettare con tremori di febbre... È una disabile grave ma non ha malattie - ammette anche il neurologo Defanti, amico di suo padre - «è una donna molto sana». Troppo. Perché muoia non resta che negarle cibo e acqua, renderla 'terminale' per fame e per sete: un sistema infallibile, alla lunga chiunque soccombe. LA PASSEGGIATA Se a Eluana sarà concessa un’altra primavera, fra tre mesi al primo tepore del sole potrà scendere di nuovo in giardino. Aria buona e pulita dopo un inverno trascorso in camera. Da anni e anni ci pensano le suore, a volte qualche amica, spesso suo padre, a portarla nel verde che circonda la clinica, sulle sponde del lago di Lecco, seduta sulla sedia a rotelle. È la stessa casa di cura in cui ormai tanti anni fa sua madre l’ha partorita, il primo ambiente che i suoi occhi hanno visto... da quindici anni è anche la sua casa. Eluana, con quella sua vita ai minimi termini, ha bisogno di poco, quasi di niente, un niente cui le suore aggiungono un surplus di amore: parole, silenzi, carezze, piccole e continue attenzioni. Le sente Eluana? Dietro il suo muro di incomunicabilità forse il fruscio di quelle vesti, le voci ormai note, il contatto di quelle mani familiari le danno sensazioni e sicurezza: là ' fuori' qualcuno la veglia. Nessun neurologo, nessuno scienziato ha mai saputo varcare la soglia misteriosa e valutare quanta coscienza resti a questi pazienti. Loro, quando ne escono, raccontano: « Sentivamo tutto, non sapevamo dirvelo».IL RIPOSO Sogna Eluana la notte? Se lo sono chiesto medici e neurologi, ma risposta non c’è. Forse notte e giorno nel suo limbo sono indistintamente un lungo strano sogno mai interrotto, chissà. Quel che è certo è che anche Eluana come tutti noi quando è sera chiude i grandi occhi neri e si addormenta. Notte e giorno, veglia e sonno, senza confondersi mai, e al calare del buio anche il suo corpo chiede riposo alla fine di una giornata come tante. Un sonno tranquillo, senza incubi, ed è proprio mentre dorme che un sottile sondino le instilla lentamente quella linfa vitale che chiamano 'alimentazione e idratazione', ma che sono solo cibo e acqua. Goccia a goccia ogni sera per ore entrano in lei e il suo corpo le assimila, si nutre, cresce, vive. È il suo unico ausilio, l’unica richiesta: negargliela significa ucciderla. E infatti è questo il metodo previsto dai 'protocolli' giudiziari per condurla alla morte... Nel silenzio della sera il mistero si infittisce, i dubbi crescono. Sulla parete della stanza sono incorniciate tante Eluane, belle, sorridenti, giovani, piene di vita, maliziose, allegre, spensierate: crudele guardare quelle foto e chiedersi in che piega è nascosto oggi il sorriso di diciassette anni fa. Eluana - la sua anima - gioca a nascondino ma da qualche parte c’è. Che cosa ha vissuto in sé Eluana di questa ennesima giornata? Che cosa ha avvertito? A volte ha sussultato, altre ha sospirato, talvolta ha persino teso la bocca in un sorriso, ma era poi un sorriso? Inutile farsi domande, impossibile darsi risposte, Eluana è viva e questo basta.

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