mercoledì 18 febbraio 2009

ANCHE NEL DOLORE LA VITA E' VITA...

EDITORIALE
Nel dolore a testa alta: il più grande sì alla vita
Dal Messaggio dei vescovi un forte richiamo alla vicinanza con chi soffre. Perché le scelte di morte, dall’aborto all’eutanasia, siano sconfitte dalle scelte di vita
Sofferenza e forza della vita. C’è uno stretto confine tra le due espressioni che i vescovi hanno scelto per dare un titolo al Messaggio per la 31ª Giornata nazionale per la vita. È la sottile terra di nessuno in cui ci ritroviamo sempre più spesso. Quando? Ogni volta che incontriamo una sofferenza, nostra e altrui; e siamo chiamati a darle una risposta.La sofferenza è tanta. A volte è clamorosa, manifesta, gridata e si impone perfino sui mass-media. Molto più spesso è silente e nascosta e si consuma nell’ombra. Il Messaggio evoca alcune di queste forme di sofferenza. Soffre la donna che non riesce ad accettare la vita che le sta crescendo in grembo, soffre fino al punto di considerare quella vita una minaccia, la causa di ulteriori disagi e nuove sofferenze. Soffre chi è affetto da malattie degenerative che senza scampo gli chiudono ad una ad una tutte le finestre sul mondo: muoversi, parlare, toccare, accarezzare, sorridere, gustare il cibo, comunicare… Soffrono i parenti di chi vede il proprio caro in coma, per giorni, mesi e anni, e non intravedendo una via d’uscita soffrono d’una sofferenza che solo loro possono conoscere. Soffre, in generale, chi è solo e non è amato da nessuno. Soffre chi ha perso - forse non ha mai avuto davvero - uno scopo per vivere e si trascina giorno dopo giorno come chi cammina nella nebbia, tutta uguale e tutta insensata.A tutte queste forme di sofferenza è possibile dare sostanzialmente due risposte: di morte o di vita. Da una parte o dall’altra del confine. La prima è sicuramente più facile e sbrigativa, a tal punto che alcuni la spacciano per la vera "scelta dettata dall’amore". La seconda è più difficile e può accadere che molte persone "di confine" abbiano la sensazione di non possedere la forza necessaria per farcela.La scelta della morte è una porta che si chiude per sempre. La scelta della forza della vita è una porta che si apre: alle relazioni, ad uno scopo, a nuovi progetti. La scelta della morte è un grande "no". La scelta della forza della vita è un grande "sì", a dimostrazione che questo soprattutto la Chiesa dice: sì. Il Messaggio è pieno di sì. Sì all’amicizia, alla vicinanza, alla solidarietà. Sì alle cure palliative. Sì alla ricerca, quella che cerca i rimedi e allevia la sofferenza. Sì agli interventi che consentano a tutti di comunicare e vivere una vita degna, anche se costretta in una carrozzella o in un letto. Di no ce n’è uno solo: alle scelte di morte. No all’aborto, l’opzione di chi pensa di alleviare così la propria sofferenza e non sa che ne genera altra, condannandosi a convivere con una ferita che mai si potrà rimarginare del tutto. No all’eutanasia, anche se spacciata per diritto all’autodeterminazione. No a tutto ciò che renda l’uomo simile ad un oggetto, a una merce, a un ingombro.Da un lato la sofferenza, dunque. Dall’altro la forza; anzi la fortezza, virtù di chi vive la propria vita, e la propria sofferenza, a testa alta. È la virtù più preziosa in un tempo, il nostro, che appare dominato dall’accidia, la vera e profonda causa della sofferenza. Accidia: una parola estranea al nostro vocabolario. Potremmo tradurla con negligenza, indifferenza, trascuratezza, instabilità, pessimismo, sconforto, noia, ma senza cogliere nel segno. Accidia, oggi, è la condizione di chi non padroneggia la propria vita, non sa darle una direzione, ha smarrito lo scopo. Di chi detesta tutto ciò che ha e desidera tutto ciò che non ha, salvo detestarlo non appena se ne impossessa. Di chi non sa più perché sta vivendo. È la condizione del consumista triste convinto che la soluzione più "facile" e sbrigativa sia sempre e comunque la migliore. Fosse pure la morte. L’accidia è l’incapacità di sentir vibrare il proprio cuore, di appassionarsi davvero alla famiglia e alla professione, di perseguire un grande progetto di vita. Se ciò è vero, l’accidia è forse il più diffuso vizio sociale e ciò che sta dietro i cento volti della sofferenza dell’uomo d’oggi. È una condizione che, in epoca non sospetta, ben descriveva Gustave Flaubert: "Mi sembra di attraversare una solitudine senza fine, per andare non so dove".Eccolo dunque il confine. È tra accidia e fortezza, quella "forza della vita" che i vescovi additano a tutti gli uomini che vogliono resistere e dare una speranza a sé e agli altri. Un altro scrittore, John R. R. Tolkien, nel suo capolavoro, Il signore degli anelli, la incarna in Frodo, il piccolo hobbit con un compito immane, non un eroe ma un individuo fragile e normale, soggetto a tristezze e tentazioni. Eppure con due grandi risorse: la fede e gli amici. Tolkien ci dice che sulla strada verso la fortezza non siamo soli. Gli uomini, e specialmente i cristiani, sono un popolo. Si fanno compagnia: la Compagnia dell’anello, che nasce a Gran Burrone su mandato di Elrond, re degli elfi. Una compagnia di uomini, nani, elfi e hobbit: hanno bisogno gli uni degli altri per la salvezza della Terra.
di Dino Boffo

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