lunedì 29 dicembre 2008

SE IL PRETE...

Se il prete…fa una predica lunga più di dieci minutie’ un parolaio,se fa una predica cortanon sa cosa dire.Se durante la predica parla forteallora urla e si arrabbia con tutti,se non predica fortenon si capisce niente.Se visita i suoi fedeliallora gironzola e non è mai in ufficio,se rimane a casanon visita mai le famiglie e ama il distacco.Se in confessionale ascolta i penitentiè interminabile,se fa in fretta a confessarenon è capace di ascoltare.Se incomincia la messa puntualmenteil suo orologio va avanti,se ha un piccolo ritardofa perdere tempo a tutta la gente.Se abbellisce la chiesagetta via i soldi inutilmente,se non lo falascia andare tutto alla malora.Se parla con una donnasi pensa subito di costruire un romanzo rosa,se vuol bene alla genteè perché non la conosce.Se è giovanenon ha esperienza,se è vecchionon si adatta ai tempi.Se muore…non c’è nessuno che lo sostituisce!!!
Anonimo

mercoledì 24 dicembre 2008

PERCHE' SONO NATO DICE DIO...

Sono nato nudo, dice Dio, perché tu sappia spogliarti di te stesso.
Sono nato povero perché tu possa considerarmi l'unica ricchezza.
Sono nato in una stalla perché tu impari a santificare ogni ambiente.
Sono nato debole, dice Dio, perché tu non abbia mai paura di me.
Sono nato per amore perché tu non dubiti mai del mio amore.
Sono nato di notte perché tu creda che posso illuminare qualsiasi realtà.
Sono nato persona, dice Dio, perché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.
Sono nato uomo perché tu possa essere "dio".
Sono nato perseguitato perché tu sappia accettare le difficoltà.
Sono nato nella semplicità perché tu smetta di essere complicato.
Sono nato nella tua vita, dice Dio, per portare tutti alla casa del Padre.

trova il tempo...

Trova il tempo di pensareTrova il tempo di pregareTrova il tempo di ridereÈ la fonte del potereÈ il più grande potere sulla TerraÈ la musica dell’anima.
Trova il tempo per giocareTrova il tempo per amare ed essere amatoTrova il tempo di dareÈ il segreto dell’eterna giovinezzaÈ il privilegio dato da DioLa giornata è troppo corta per essere egoisti.
Trova il tempo di leggereTrova il tempo di essere amicoTrova il tempo di lavorareE’ la fonte della saggezzaE’ la strada della felicitàE’ il prezzo del successo.
Trova il tempo di fare la caritàE’ la chiave del Paradiso.
Madre Teresa di Calcutta

sabato 13 dicembre 2008

la pace, dono prezioso per l'uomo

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVIPER LA CELEBRAZIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2009

COMBATTERE LA POVERTÀ, COSTRUIRE LA PACE

1. Anche all'inizio di questo nuovo anno desidero far giungere a tutti il mio augurio di pace ed invitare, con questo mio Messaggio, a riflettere sul tema: Combattere la povertà, costruire la pace. Già il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1993, aveva sottolineato le ripercussioni negative che la situazione di povertà di intere popolazioni finisce per avere sulla pace. Di fatto, la povertà risulta sovente tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, anche armati. A loro volta, questi ultimi alimentano tragiche situazioni di povertà. « S'afferma... e diventa sempre più grave nel mondo – scriveva Giovanni Paolo II – un'altra seria minaccia per la pace: molte persone, anzi, intere popolazioni vivono oggi in condizioni di estrema povertà. La disparità tra ricchi e poveri s'è fatta più evidente, anche nelle nazioni economicamente più sviluppate. Si tratta di un problema che s'impone alla coscienza dell'umanità, giacché le condizioni in cui versa un gran numero di persone sono tali da offenderne la nativa dignità e da compromettere, conseguentemente, l'autentico ed armonico progresso della comunità mondiale » [1].
2. In questo contesto, combattere la povertà implica un'attenta considerazione del complesso fenomeno della globalizzazione. Tale considerazione è importante già dal punto di vista metodologico, perché suggerisce di utilizzare il frutto delle ricerche condotte dagli economisti e sociologi su tanti aspetti della povertà. Il richiamo alla globalizzazione dovrebbe, però, rivestire anche un significato spirituale e morale, sollecitando a guardare ai poveri nella consapevole prospettiva di essere tutti partecipi di un unico progetto divino, quello della vocazione a costituire un'unica famiglia in cui tutti – individui, popoli e nazioni – regolino i loro comportamenti improntandoli ai principi di fraternità e di responsabilità.
In tale prospettiva occorre avere, della povertà, una visione ampia ed articolata. Se la povertà fosse solo materiale, le scienze sociali che ci aiutano a misurare i fenomeni sulla base di dati di tipo soprattutto quantitativo, sarebbero sufficienti ad illuminarne le principali caratteristiche. Sappiamo, però, che esistono povertà immateriali, che non sono diretta e automatica conseguenza di carenze materiali. Ad esempio, nelle società ricche e progredite esistono fenomeni di emarginazione, povertà relazionale, morale e spirituale: si tratta di persone interiormente disorientate, che vivono diverse forme di disagio nonostante il benessere economico. Penso, da una parte, a quello che viene chiamato il « sottosviluppo morale » [2] e, dall'altra, alle conseguenze negative del « supersviluppo » [3]. Non dimentico poi che, nelle società cosiddette « povere », la crescita economica è spesso frenata da impedimenti culturali, che non consentono un adeguato utilizzo delle risorse. Resta comunque vero che ogni forma di povertà imposta ha alla propria radice il mancato rispetto della trascendente dignità della persona umana. Quando l'uomo non viene considerato nell'integralità della sua vocazione e non si rispettano le esigenze di una vera « ecologia umana » [4], si scatenano anche le dinamiche perverse della povertà, com'è evidente in alcuni ambiti sui quali soffermerò brevemente la mia attenzione.
Povertà e implicazioni morali
3. La povertà viene spesso correlata, come a propria causa, allo sviluppo demografico. In conseguenza di ciò, sono in atto campagne di riduzione delle nascite, condotte a livello internazionale, anche con metodi non rispettosi né della dignità della donna né del diritto dei coniugi a scegliere responsabilmente il numero dei figli [5] e spesso, cosa anche più grave, non rispettosi neppure del diritto alla vita. Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l'eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani. A fronte di ciò resta il fatto che, nel 1981, circa il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della linea di povertà assoluta, mentre oggi tale percentuale è sostanzialmente dimezzata, e sono uscite dalla povertà popolazioni caratterizzate, peraltro, da un notevole incremento demografico. Il dato ora rilevato pone in evidenza che le risorse per risolvere il problema della povertà ci sarebbero, anche in presenza di una crescita della popolazione. Né va dimenticato che, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, la popolazione sulla terra è cresciuta di quattro miliardi e, in larga misura, tale fenomeno riguarda Paesi che di recente si sono affacciati sulla scena internazionale come nuove potenze economiche e hanno conosciuto un rapido sviluppo proprio grazie all'elevato numero dei loro abitanti. Inoltre, tra le Nazioni maggiormente sviluppate quelle con gli indici di natalità maggiori godono di migliori potenzialità di sviluppo. In altri termini, la popolazione sta confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di povertà.
4. Un altro ambito di preoccupazione sono le malattie pandemiche quali, ad esempio, la malaria, la tubercolosi e l'AIDS, che, nella misura in cui colpiscono i settori produttivi della popolazione, influiscono grandemente sul peggioramento delle condizioni generali del Paese. I tentativi di frenare le conseguenze di queste malattie sulla popolazione non sempre raggiungono risultati significativi. Capita, inoltre, che i Paesi vittime di alcune di tali pandemie, per farvi fronte, debbano subire i ricatti di chi condiziona gli aiuti economici all'attuazione di politiche contrarie alla vita. È soprattutto difficile combattere l'AIDS, drammatica causa di povertà, se non si affrontano le problematiche morali con cui la diffusione del virus è collegata. Occorre innanzitutto farsi carico di campagne che educhino specialmente i giovani a una sessualità pienamente rispondente alla dignità della persona; iniziative poste in atto in tal senso hanno gia dato frutti significativi, facendo diminuire la diffusione dell'AIDS. Occorre poi mettere a disposizione anche dei popoli poveri le medicine e le cure necessarie; ciò suppone una decisa promozione della ricerca medica e delle innovazioni terapeutiche nonché, quando sia necessario, un'applicazione flessibile delle regole internazionali di protezione della proprietà intellettuale, così da garantire a tutti le cure sanitarie di base.
5. Un terzo ambito, oggetto di attenzione nei programmi di lotta alla povertà e che ne mostra l'intrinseca dimensione morale, è la povertà dei bambini. Quando la povertà colpisce una famiglia, i bambini ne risultano le vittime più vulnerabili: quasi la metà di coloro che vivono in povertà assoluta oggi è rappresentata da bambini. Considerare la povertà ponendosi dalla parte dei bambini induce a ritenere prioritari quegli obiettivi che li interessano più direttamente come, ad esempio, la cura delle madri, l'impegno educativo, l'accesso ai vaccini, alle cure mediche e all'acqua potabile, la salvaguardia dell'ambiente e, soprattutto, l'impegno a difesa della famiglia e della stabilità delle relazioni al suo interno. Quando la famiglia si indebolisce i danni ricadono inevitabilmente sui bambini. Ove non è tutelata la dignità della donna e della mamma, a risentirne sono ancora principalmente i figli.
6. Un quarto ambito che, dal punto di vista morale, merita particolare attenzione è la relazione esistente tra disarmo e sviluppo. Suscita preoccupazione l'attuale livello globale di spesa militare. Come ho già avuto modo di sottolineare, capita che « le ingenti risorse materiali e umane impiegate per le spese militari e per gli armamenti vengono di fatto distolte dai progetti di sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri e bisognosi di aiuto. E questo va contro quanto afferma la stessa Carta delle Nazioni Unite, che impegna la comunità internazionale, e gli Stati in particolare, a “promuovere lo stabilimento ed il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale col minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti” (art. 26) » [6].
Questo stato di cose non facilita, anzi ostacola seriamente il raggiungimento dei grandi obiettivi di sviluppo della comunità internazionale. Inoltre, un eccessivo accrescimento della spesa militare rischia di accelerare una corsa agli armamenti che provoca sacche di sottosviluppo e di disperazione, trasformandosi così paradossalmente in fattore di instabilità, di tensione e di conflitti. Come ha sapientemente affermato il mio venerato Predecessore Paolo VI, « lo sviluppo è il nuovo nome della pace » [7]. Gli Stati sono pertanto chiamati ad una seria riflessione sulle più profonde ragioni dei conflitti, spesso accesi dall'ingiustizia, e a provvedervi con una coraggiosa autocritica. Se si giungerà ad un miglioramento dei rapporti, ciò dovrebbe consentire una riduzione delle spese per gli armamenti. Le risorse risparmiate potranno essere destinate a progetti di sviluppo delle persone e dei popoli più poveri e bisognosi: l'impegno profuso in tal senso è un impegno per la pace all'interno della famiglia umana.
7. Un quinto ambito relativo alla lotta alla povertà materiale riguarda l'attuale crisi alimentare, che mette a repentaglio il soddisfacimento dei bisogni di base. Tale crisi è caratterizzata non tanto da insufficienza di cibo, quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi e quindi da carenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche in grado di fronteggiare le necessità e le emergenze. La malnutrizione può anche provocare gravi danni psicofisici alle popolazioni, privando molte persone delle energie necessarie per uscire, senza speciali aiuti, dalla loro situazione di povertà. E questo contribuisce ad allargare la forbice delle disuguaglianze, provocando reazioni che rischiano di diventare violente. I dati sull'andamento della povertà relativa negli ultimi decenni indicano tutti un aumento del divario tra ricchi e poveri. Cause principali di tale fenomeno sono senza dubbio, da una parte, il cambiamento tecnologico, i cui benefici si concentrano nella fascia più alta della distribuzione del reddito e, dall'altra, la dinamica dei prezzi dei prodotti industriali, che crescono molto più velocemente dei prezzi dei prodotti agricoli e delle materie prime in possesso dei Paesi più poveri. Capita così che la maggior parte della popolazione dei Paesi più poveri soffra di una doppia marginalizzazione, in termini sia di redditi più bassi sia di prezzi più alti.
Lotta alla povertà e solidarietà globale
8. Una delle strade maestre per costruire la pace è una globalizzazione finalizzata agli interessi della grande famiglia umana [8]. Per governare la globalizzazione occorre però una forte solidarietà globale [9] tra Paesi ricchi e Paesi poveri, nonché all'interno dei singoli Paesi, anche se ricchi. È necessario un « codice etico comune » [10], le cui norme non abbiano solo un carattere convenzionale, ma siano radicate nella legge naturale inscritta dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano (cfr Rm 2,14-15). Non avverte forse ciascuno di noi nell'intimo della coscienza l'appello a recare il proprio contributo al bene comune e alla pace sociale? La globalizzazione elimina certe barriere, ma ciò non significa che non ne possa costruire di nuove; avvicina i popoli, ma la vicinanza spaziale e temporale non crea di per sé le condizioni per una vera comunione e un'autentica pace. La marginalizzazione dei poveri del pianeta può trovare validi strumenti di riscatto nella globalizzazione solo se ogni uomo si sentirà personalmente ferito dalle ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse connesse. La Chiesa, che è « segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano », [11] continuerà ad offrire il suo contributo affinché siano superate le ingiustizie e le incomprensioni e si giunga a costruire un mondo più pacifico e solidale.
9. Nel campo del commercio internazionale e delle transazioni finanziarie, sono oggi in atto processi che permettono di integrare positivamente le economie, contribuendo al miglioramento delle condizioni generali; ma ci sono anche processi di senso opposto, che dividono e marginalizzano i popoli, creando pericolose premesse per guerre e conflitti. Nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, il commercio internazionale di beni e di servizi è cresciuto in modo straordinariamente rapido, con un dinamismo senza precedenti nella storia. Gran parte del commercio mondiale ha interessato i Paesi di antica industrializzazione, con la significativa aggiunta di molti Paesi emergenti, diventati rilevanti. Ci sono però altri Paesi a basso reddito, che risultano ancora gravemente marginalizzati rispetto ai flussi commerciali. La loro crescita ha risentito negativamente del rapido declino, registrato negli ultimi decenni, dei prezzi dei prodotti primari, che costituiscono la quasi totalità delle loro esportazioni. In questi Paesi, per la gran parte africani, la dipendenza dalle esportazioni di prodotti primari continua a costituire un potente fattore di rischio. Vorrei qui rinnovare un appello perché tutti i Paesi abbiano le stesse possibilità di accesso al mercato mondiale, evitando esclusioni e marginalizzazioni.
10. Una riflessione simile può essere fatta per la finanza, che concerne uno degli aspetti primari del fenomeno della globalizzazione, grazie allo sviluppo dell'elettronica e alle politiche di liberalizzazione dei flussi di denaro tra i diversi Paesi. La funzione oggettivamente più importante della finanza, quella cioè di sostenere nel lungo termine la possibilità di investimenti e quindi di sviluppo, si dimostra oggi quanto mai fragile: essa subisce i contraccolpi negativi di un sistema di scambi finanziari – a livello nazionale e globale - basati su una logica di brevissimo termine, che persegue l'incremento del valore delle attività finanziarie e si concentra nella gestione tecnica delle diverse forme di rischio. Anche la recente crisi dimostra come l'attività finanziaria sia a volte guidata da logiche puramente autoreferenziali e prive della considerazione, a lungo termine, del bene comune. L'appiattimento degli obiettivi degli operatori finanziari globali sul brevissimo termine riduce la capacità della finanza di svolgere la sua funzione di ponte tra il presente e il futuro, a sostegno della creazione di nuove opportunità di produzione e di lavoro nel lungo periodo. Una finanza appiattita sul breve e brevissimo termine diviene pericolosa per tutti, anche per chi riesce a beneficiarne durante le fasi di euforia finanziaria [12].
11. Da tutto ciò emerge che la lotta alla povertà richiede una cooperazione sia sul piano economico che su quello giuridico che permetta alla comunità internazionale e in particolare ai Paesi poveri di individuare ed attuare soluzioni coordinate per affrontare i suddetti problemi realizzando un efficace quadro giuridico per l'economia. Richiede inoltre incentivi alla creazione di istituzioni efficienti e partecipate, come pure sostegni per lottare contro la criminalità e per promuovere una cultura della legalità. D'altra parte, non si può negare che le politiche marcatamente assistenzialiste siano all'origine di molti fallimenti nell'aiuto ai Paesi poveri. Investire nella formazione delle persone e sviluppare in modo integrato una specifica cultura dell'iniziativa sembra attualmente il vero progetto a medio e lungo termine. Se le attività economiche hanno bisogno, per svilupparsi, di un contesto favorevole, ciò non significa che l'attenzione debba essere distolta dai problemi del reddito. Sebbene si sia opportunamente sottolineato che l'aumento del reddito pro capite non può costituire in assoluto il fine dell'azione politico-economica, non si deve però dimenticare che esso rappresenta uno strumento importante per raggiungere l'obiettivo della lotta alla fame e alla povertà assoluta. Da questo punto di vista va sgomberato il campo dall'illusione che una politica di pura ridistribuzione della ricchezza esistente possa risolvere il problema in maniera definitiva. In un'economia moderna, infatti, il valore della ricchezza dipende in misura determinante dalla capacità di creare reddito presente e futuro. La creazione di valore risulta perciò un vincolo ineludibile, di cui si deve tener conto se si vuole lottare contro la povertà materiale in modo efficace e duraturo.
12. Mettere i poveri al primo posto comporta, infine, che si riservi uno spazio adeguato a una corretta logica economica da parte degli attori del mercato internazionale, ad una corretta logica politica da parte degli attori istituzionali e ad una corretta logica partecipativa capace di valorizzare la società civile locale e internazionale. Gli stessi organismi internazionali riconoscono oggi la preziosità e il vantaggio delle iniziative economiche della società civile o delle amministrazioni locali per la promozione del riscatto e dell'inclusione nella società di quelle fasce della popolazione che sono spesso al di sotto della soglia di povertà estrema e sono al tempo stesso difficilmente raggiungibili dagli aiuti ufficiali. La storia dello sviluppo economico del XX secolo insegna che buone politiche di sviluppo sono affidate alla responsabilità degli uomini e alla creazione di positive sinergie tra mercati, società civile e Stati. In particolare, la società civile assume un ruolo cruciale in ogni processo di sviluppo, poiché lo sviluppo è essenzialmente un fenomeno culturale e la cultura nasce e si sviluppa nei luoghi del civile [13].
13. Come ebbe ad affermare il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, la globalizzazione « si presenta con una spiccata caratteristica di ambivalenza » [14] e quindi va governata con oculata saggezza. Rientra in questa forma di saggezza il tenere primariamente in conto le esigenze dei poveri della terra, superando lo scandalo della sproporzione esistente tra i problemi della povertà e le misure che gli uomini predispongono per affrontarli. La sproporzione è di ordine sia culturale e politico che spirituale e morale. Ci si arresta infatti spesso alle cause superficiali e strumentali della povertà, senza raggiungere quelle che albergano nel cuore umano, come l'avidità e la ristrettezza di orizzonti. I problemi dello sviluppo, degli aiuti e della cooperazione internazionale vengono affrontati talora senza un vero coinvolgimento delle persone, ma come questioni tecniche, che si esauriscono nella predisposizione di strutture, nella messa a punto di accordi tariffari, nello stanziamento di anonimi finanziamenti. La lotta alla povertà ha invece bisogno di uomini e donne che vivano in profondità la fraternità e siano capaci di accompagnare persone, famiglie e comunità in percorsi di autentico sviluppo umano.
Conclusione
14. Nell'Enciclica Centesimus annus, Giovanni Paolo II ammoniva circa la necessità di « abbandonare la mentalità che considera i poveri – persone e popoli – come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di consumare quanto altri hanno prodotto ». « I poveri – egli scriveva - chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più prospero » [15]. Nell'attuale mondo globale è sempre più evidente che si costruisce la pace solo se si assicura a tutti la possibilità di una crescita ragionevole: le distorsioni di sistemi ingiusti, infatti, prima o poi, presentano il conto a tutti. Solo la stoltezza può quindi indurre a costruire una casa dorata, ma con attorno il deserto o il degrado. La globalizzazione da sola è incapace di costruire la pace e, in molti casi, anzi, crea divisioni e conflitti. Essa rivela piuttosto un bisogno: quello di essere orientata verso un obiettivo di profonda solidarietà che miri al bene di ognuno e di tutti. In questo senso, la globalizzazione va vista come un'occasione propizia per realizzare qualcosa di importante nella lotta alla povertà e per mettere a disposizione della giustizia e della pace risorse finora impensabili.
15. Da sempre la dottrina sociale della Chiesa si è interessata dei poveri. Ai tempi dell'Enciclica Rerum novarum essi erano costituiti soprattutto dagli operai della nuova società industriale; nel magistero sociale di Pio XI, di Pio XII, di Giovanni XXIII, di Paolo VI e di Giovanni Paolo II sono state messe in luce nuove povertà man mano che l'orizzonte della questione sociale si allargava, fino ad assumere dimensioni mondiali [16]. Questo allargamento della questione sociale alla globalità va considerato nel senso non solo di un'estensione quantitativa, ma anche di un approfondimento qualitativo sull'uomo e sui bisogni della famiglia umana. Per questo la Chiesa, mentre segue con attenzione gli attuali fenomeni della globalizzazione e la loro incidenza sulle povertà umane, indica i nuovi aspetti della questione sociale, non solo in estensione, ma anche in profondità, in quanto concernenti l'identità dell'uomo e il suo rapporto con Dio. Sono principi di dottrina sociale che tendono a chiarire i nessi tra povertà e globalizzazione e ad orientare l'azione verso la costruzione della pace. Tra questi principi è il caso di ricordare qui, in modo particolare, l'« amore preferenziale per i poveri » [17], alla luce del primato della carità, testimoniato da tutta la tradizione cristiana, a cominciare da quella della Chiesa delle origini (cfr At 4,32-36; 1 Cor 16,1; 2 Cor 8-9; Gal 2,10).
« Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi », scriveva nel 1891 Leone XIII, aggiungendo: « Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancare mai e in nessun modo l'opera sua » [18]. Questa consapevolezza accompagna anche oggi l'azione della Chiesa verso i poveri, nei quali vede Cristo [19], sentendo risuonare costantemente nel suo cuore il mandato del Principe della pace agli Apostoli: « Vos date illis manducare – date loro voi stessi da mangiare » (Lc 9,13). Fedele a quest'invito del suo Signore, la Comunità cristiana non mancherà pertanto di assicurare all'intera famiglia umana il proprio sostegno negli slanci di solidarietà creativa non solo per elargire il superfluo, ma soprattutto per cambiare « gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società » [20]. Ad ogni discepolo di Cristo, come anche ad ogni persona di buona volontà, rivolgo pertanto all'inizio di un nuovo anno il caldo invito ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto è concretamente possibile per venire in loro soccorso. Resta infatti incontestabilmente vero l'assioma secondo cui « combattere la povertà è costruire la pace ».
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2008
BENEDICTUS PP. XVI

mercoledì 10 dicembre 2008

IN NOME DI DIO

Gli uomini nel corso dei secoli, hanno fatto molte cose aberranti in nome di Dio, vedi le crociate dei cristiani le loro divisioni in tante correnti cristiane, o bruciavano durante l’inquisizione delle persone perché eretiche; e dei musulmani contro gli infedeli vedi la battaglia di Lepanto: ognuno voleva imporre all’altro il modo di vedere Dio. Anche oggi le cose non sono molto cambiate, i cristiani sono perseguitati vedi in India, alcuni musulmani invece in nome di Dio fanno strage di persone non musulmane perché ritenuti infedeli vedi l’11 settembre e l’ultima strage di MOMBAI in India. Quello che dispiace, è questa distorsione della figura di Dio, perché Dio non vuole il male dei suoi figli perché lui è Amore tant’è che si è incarnato assumendo la nostra debolezza permettendo di diventare suoi figli non condannando mai nessuno, nemmeno quando lo tradivano, lo frustavano col flagello, e nemmeno quando lo inchiodavano sulla croce. Si potrà mai un giorno sperare di morire non nel suo nome? Amando il proprio fratello per quello che è e non per quello in cui crede?

lunedì 17 novembre 2008

CON TUTTO L'HANDICAP ALLA SEQUELA DI CRISTO

Con tutto il proprio handicap, alla sequela di Cristo
Il senso di una vita e di una scelta

Ci sono persone, che di fronte al proprio handicap si arrendono, mentre altre nelle stesse condizioni, non si arrendono e cominciano a convivere con il proprio handicap e man mano che crescono imparano a lottare per gli ideali in cui credono; e qui è più di un ideale è una vocazione. La vocazione di seguire Cristo in castità, povertà e obbedienza. Per cui trent’anni fa Maria Grazia, ragazza in carrozzina chiese all’istituto secolare piccole a postole della carità(fondato dal beato Don Luigi Monza nel 1937
LE PICCOLE APOSTOLE DELLA CARITA'
L’Istituto Secolare delle Piccole Apostole della carità nasce nel 1937, per dono dello Spirito, dall’esperienza sacerdotale di don Luigi Monza, parroco della diocesi di Milano.Le piccole Apostole della carità si pongono, per vocazione, alla sequela di Gesù Cristo, per essere nel mondo "come gli Apostoli con la carità pratica dei primi cristiani, per far assaporare la spiritualità del Vangelo e far gustare la gioia di vivere fratelli in Cristo". (don Luigi Monza)Esse radicalizzano la consacrazione battesimale, impegnandosi a vivere i consigli evangelici. Non si distinguono dagli altri uomini per l’abito, la professione; vivono la vita di tutti i giorni condividendone la storia nel suo quotidiano svolgersi; come nell’incarnazione Gesù ha assunto l’umanità in tutto il suo spessore, così esse si sentono solidali alla terra con gli uomini del proprio tempo.
Il loro orizzonte apostolico è perciò il mondo;
il fine della loro esistenza donata, la carità "portata fino agli ultimi confini della terra";
la regola di vita, quella del "chicco" evangelico "che muore per dare la vita";
il clima in cui vivono, la gioia perché il loro segreto è la preghiera.
Le piccole Apostole della carità svolgono la loro professione e il loro servizio apostolico in vari ambiti:
sono attive nel mondo operaio, nella scuola, negli ospedali, nel sindacato, negli uffici, nella politica.
realizzano uno specifico servizio alla vita, alla sua tutela e cura attraverso "La Nostra Famiglia" in attività di:
riabilitazione delle persone disabili in varie regioni d’Italia e nei Paesi in via di sviluppo (per ora in Sudan, Brasile e Ecuador);
ricerca e studio continuo delle problematiche mediche e psicoeducative delle varie disabilità nell’Istituto Scientifico "E. Medea" di Bosisio Parini (Lecco);
accoglienza di bambini con grave disagio familiare in attesa di affido o adozione, bambini e adolescenti soli o con disagio socio-ambientale in piccole comunità o in nuclei di tipo familiare.
hanno particolare cura e attenzione nei confronti dei giovani e delle famiglie, partecipano ad organismi ed associazioni parrocchiali e diocesane collaborando alle attività pastorali di catechesi, liturgia, carità.
attraverso l’Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale (OVCI - La Nostra Famiglia) realizzano iniziative tese allo sviluppo della promozione umana, sociale, tecnica e sanitaria dei popoli dei Paesi in via di sviluppo e collaborano alla missione di evangelizzazione della Chiesa.
Visita il sito dell’Istituto Secolare delle Piccole Apostole della Carità www.ispac.it)
di poter entrare nel loro ordine per essere anche lei alla sequela di Cristo. Ma per 30 anni l’istituto ha resistito alla richiesta, ma alla fine si è convinta della vocazione di Maria Grazia e nel 2001 a Sant’Ilario di Nerviano in provincia di Milano è stato aperto il roveto, una casa senza barriere, dove ospita quattro ragazze in carrozzina affette da tetra paresi spastica più due consorelle che hanno deciso di intraprendere questa vocazione. Esse sono: Maria Grazia, Laura, Nunzia e Francesca. Ognuna di loro ha voluto spiegare in un libretto che qui riporto fedelmente pubblicato da loro e su autorizzazione della loro superiora, il senso e il motivo di questa scelta.
Scrive Laura Galasso:
Forse, nel pensiero comune, si pensa che i disabili abbiano un modo tutto diverso, rispetto a chi non lo è, di porsi nei confronti della vita e delle scelte che essa comporta. In parte ciò è vero, perché se per chi è abile il fare un’azione qualunque, come il camminare, il bere, il mangiare e eccetera, non costituisce un problema, per chi, invece a un handicap e vive con l’impossibilità di compiere le medesime azioni in mo “ normale”, questo rappresenta un problema con cui si deve confrontare e tocca l’arco della sua esistenza. Se tutto questo è vero, è altrettanto vero però che ogni persona è unica e affronta la vita a modo suo. Perciò il senso della vita e delle scelte che la persona fa, sia che sia disabile o meno, dipendono da come uno è, da quali valori ha assunto e da come reagisce agli eventi della sua vita. Quando io, che h una tetra paresi spastica-distonica,terminate le scuole magistrali, mi sono chiesta cosa fare nella vita, non ho detto “sono disabile quindi mi è precluso questo è quello”, ma sono rimasta aperta ad ogni possibilità, cioè ho messo al primo posto il mio essere persona e dopo il mio handicap. Un altro, nelle mie condizioni, forse,avrebbe fatto il contrario. Ma anche una persona abile deve confrontarsi con se stessa e con la realtà in cui è immersa per fare le sue scelte. Come ogni persona,il disabile, e in modo più marcato, ha bisogno di un ambiente familiare sociale che favorisca lo sviluppo delle sue possibilità e potenzialità, anche minime. Ci sono però disabili che vivono la vita con rabbia e mettono al primo porto solo i diritti della loro disabilità, altri che sono preoccupati solo dei propri interessi e temono il domani rimandando agli altri le proprie responsabilità, altri ancora che si lasciano vivere piangendosi addosso; ma ci sono anche dei disabili che fanno della loro vita un dono: nelle loro attività, nel matrimonio, se è fattibile, e adesso anche nella vita consacrata. Questo è vero per i disabili fisici, che hanno piena facoltà di decidere di sé. Ma vorrei dire che anche ai disabili mentali, pur avendo gravi olivi difficoltà deve essere difeso la dignità di persona e venire aiutati a vivere una vita degna. L’ambiente in cui una persona, è fondamentale, così anche per me. Ho potuto andare alle scuole superiori perché degli amici di famiglia hanno aiutato i miei genitori a trovare il modo per farmi frequentare, e questo mi ha aperto orizzonti ampi. Le difficoltà c’erano: erano oggettive come gradini per entrare nella scuola, ma erano anche soggettive,mie, come quando dovevo far merenda e mi facevo mille remore perché ho difficoltà a mangiare. Finite le magistrali, io volevo andare all’università ma ciò non è stato possibile: c’era una professoressa che mi aveva preso a cuore e voleva che io andassi avanti con gli studi ma, a causa di un’operazione per togliere per togliere una ciste dietro la testa, la cara professoressa, è morta. Che fare? I miei sogni si erano infranti. Può capitare a chiunque il progettare una cosa e per cause esterne vedere andare tutto in fumo. C’è voluto più di un anno prima che la mia scelta andasse su ciò che mi avevano proposto le assistenti sociali: il corso di computer al Don Gnocchi di Milano. Una scelta indotta ho un’opportunità presa quasi al volo? Pensa tutte due le cose. Dal corso sono uscita col massimo dei voti e anche con più autonomia nel gestire le mie cose, infatti, sono stato otto mesi che andava a casa solo il fine settimana. Grazia a questo corso o potuto anche lavorare. Nel frattempo però, Qualcuno mi aveva già scelto,1 scelta che richiedeva la mia risposta ma senza obbligarmi. Solo nel rispondere di sì al Signore ho trovato piena libertà. È vero che a volte le situazioni si susseguono senza tregua , e magari ti trovi a fare delle scelte quasi obbligate, ma davanti al Signore si è liberi, si è se stessi, e tu puoi accogliere il suo Amore o rifiutarlo. Io l’ho accolto e questo mi ha portato a far parte dell’istituto secolare delle Piccole Apostole della Carità. Il cammino non è stato facile. All’inizio c’era il problema di come concretizzare questa vocazione: ricordo le discussioni che facevo,con chi mi seguiva nel cammino, sulla possibilità che un disabile si consacrasse. Poi, quando si è trovato una casa senza barriere architettoniche, dove vivere la chiamata del Signore, ho dovuto superare nuove difficoltà: il distacco dalla famiglia l’abituarmi a un nuovo stile di vita, il creare nuovi rapporti, l’accogliere un modo diverso di aiutarmi nelle difficoltà del mio handicap. Questo è stato faticoso ma mi ha permesso di confermare la mia scelta di essere del Signore. Nella mia comunità ora abito con altre cinque sorelle, disabili e no e insieme cerchiamo di vivere la carità dei primi cristiani, il volersi bene, e testimoniare così, alle persone che ci incontrano, che è bello vivere nell’amore. L’amore, la realizzazione di sé, la gioia, tutti li cercano in modi diversi, io li ho trovati, li ho intravisti in Dio, e il cercare il Suo Amore e scoprirlo sempre più nella mia vita, il viverlo nel rapporto con gli altri, questo dà senso a tutta la mia esistenza.

Scrive Nunzia Loschiavo
Innanzi tutto, con tanta semplicità e stima, ringrazio molto la persona che mi ha invitata e coinvolta, a scrivere e a parlare, sul senso della mia vita, della scelta e della realizzazione di sé, come persona disabile. Credo e spero, di riuscire a sviluppare questo tema, con la spontaneità e serenità. Ripensando un po’ alla mia adolescenza, rifletto su come sono riuscita ad accettare la mia disabilità, ma soprattutto, come ha deciso di dare senso alla mia vita. Ricordo perfettamente, e c’è stato un periodo non tanto bello e nemmeno facile, in cui non riuscivo ad accettarmi, così come sono. A un certo punto della mia vita, mi sono ribellata, mi sentivo arrabbiata, anche con Dio, perché non camminavo. Non riuscivo ad accettarlo, perché desideravo essere indipendente fare la vita come tutti gli altri miei coetanei. Ma man mano che crescevo nella mia adolescenza, ho accettato, lentamente, la mia disabilità. Ragionando e lavorando, con il mio pensiero, ho riflettuto a lungo su alcune domande e risposte che mi facevano spesso sulle mie difficoltà motorie, di linguaggio e sulla mia personalità. Le domande le risposte, sono state semplicissime, ma importanti. Perché non cammino? Perché non sono autonoma come una persona normale?perché devo aspettare gli altri, per riuscire a realizzare ciò che desidero? E altre ancora. Diventando sempre più adulta, e consapevole della mia disabilità, ho cercato di affrontarla e di accettarla con più coraggio e serenità, fino ad accettarla completamente. Da quel momento, ho capito che potevo vivere come una persona normale, nonostante i miei limiti, perché, grazie a Dio, potevo contare sull’aiuto della mia famiglia che aveva accanto e mi voleva bene, come a tutt’oggi mi dimostra nonostante viva lontano da me. Infatti, mediante la loro disponibilità, pazienza, nel venire incontro alle mie necessità, apprezzavo sempre di più la loro sensibilità nel volermi aiutare. Passando gli anni, desideravo concretizzare il mio amore per la vita, dando un senso ad essa. Di questa sicurezza che ho sempre avuto dentro di me, ringrazio il Signore, che mi ha fatto conoscere, fin da piccola l’istituto “La Nostra Famiglia”, che ho frequentato fin da piccola a me molto cara e lo sarà sempre, come una seconda casa. Infatti, le Piccole Apostole e gli operatori, oltre ad assistermi e aiutarmi concretamente per quanto riguardava la scuola e la ginnastica e per i miei progressi nel linguaggio, con tanto amore e sensibilità mi hanno trasmesso il grande dono della fede e il carisma del beato Luigi Monza, insieme a tanti amici che ho conosciuto nei diversi anni, che mi hanno incoraggiato a proseguire, convinta, con serenità, nella mia scelta di vita e che sento tuttora vicini. Il loro prezioso esempio ha sicuramente contribuito ad aiutarmi nella mia determinazione nel voler essere, con l’aiuto del Signore, Piccola Apostola della Carità. Per me, è un dono grande che ha fatto il Signore alla mia vita, nonostante la mia disabilità, la sofferenza fisica e morale che ho vissuto. È proprio vero, che il Signore non guarda all’apparenza, ma guarda il cuore e parla al cuore. Questo è il vero motivo, per il quale, dopo un cammino ben preciso, mi trovo in comunità a S. Ilario, dove vivo da sette anni circa. In questa comunità, mi sento veramente realizzata, perché, oltre a pregare a meditare, nonostante la mia disabilità che non è lieve, mi rendo disponibile per gli altri, in particolare per le mie sorelle quando hanno bisogno e con l’aiuto del personale che ci segue, riesco ad essere sempre autonoma. Davvero, ringrazio il Signore di avermi chiamata alla Sua sequela, come consacrata, dimostrandomi che Lui non guarda le mie difficoltà ma anzi attraverso di esse, mi chiede di essere segno di speranza, per chi non ha ancora trovato il senso della propria vita. È bello, poter aiutare, forse di più con la preghiera che con l’azione vera e propria. Infatti, il nostro beato Don Luigi Monza dice: “ chi può dia, chi non può preghi”. Anche alle persone che ci incontrano o che ci vengono a trovare, desideriamo di trasmettere sempre di più questo insegnamento di Don Luigi:

“La santità non consiste nel fare cose straordinarie, ma nel fare straordinariamente bene le cose ordinarie.

Non crediamo che il Signore pretenda cose grandi da noi; Egli si accontenta della buona intenzione e della buona volontà, sopra tutto nelle cose piccole e nascoste”.

Scrive Maria Grazia Micheli
Attraverso queste righe tenta di spiegare come sono riuscita a dare un senso alla mia vita di disabile, come sono giunta a fare delle scelte nella mia vita e come, ora, mi sento realizzata. Ripensando alla mia infanzia, alla mia adolescenza e alla mia giovinezza, posso affermare con gioia e con ammirazione che i miei familiari, soprattutto la zia che mi ha cresciuta, non si sono arrestati di fronte ai miei limiti fisici, ma sono andati oltre. Quando ero piccola i miei genitori, come farebbero tutti genitori, hanno tentato tutti i mezzi per permettermi di camminare con le mie gambe. Col passare del tempo la loro speranza è sfumata, perché a quei tempi la mia patologia non era conosciuta. Nonostante ciò, non ebbero, con me,1 atteggiamento troppo protettivo e nemmeno troppo possessivo, ma mi trattarono sempre come una persona normale, così valorizzavano tutte le mie potenzialità. La mia adolescenza è stata il periodo più brutto e più sofferto della mia vita, perché cominciai a prendere coscienza delle mie reali condizioni fisiche. Perciò, quegli anni li ho vissuti da arrabbiata, tormentata da interrogativi senza risposta. Poi, ho incontrato una carissima amica che con molta delicatezza e discrezione, insieme alla sua preziosa amicizia mi ha offerto l’opportunità di conoscere e approfondire la Parola di Dio . Così, senza volerlo mi sono trovata di fronte a un bivio, dovevo scegliere il mio stile di vita: o continuare a vivere da arrabbiata rifiutando la mia disabilità, oppure, avventurarmi nel tentativo di vivere come la Parola di Dio mi suggeriva ogni giorno. Alla fine scelsi la strada più difficile e più faticosa, ma quella che ha dato una risposta ai miei interrogativi. Così iniziai il mio cammino di fede, misteriosamente compresi che la mia vita poteva avere un senso, anche in queste condizioni e percepivo che Dio aveva un progetto ben preciso su di me. Con la grazia del Signore e l’aiuto di diverse persone scaturì dentro di me questa consapevolezza. Se non ci fosse stato Gesù, Figlio di Dio, con la Sua Passione, con la Sua Morte e Risurrezione che senso avrebbe la mia vita? Solo alla luce della Risurrezione, il dolore, la sofferenza, la fatica e tutto ciò che è negativo assumono un altro significato, perché Gesù donando la Sua vita per la nostra salvezza ha capovolto la logica umana. Perciò, cominciai a vivere la vita come un “dono “. Certamente, agli occhi umani il mio corpo richiama la croce e la sofferenza, ma, pur con tutte le mie debolezze cerco di vivere la gioia della Risurrezione. Con questa certezza ho vissuto una giovinezza serena, anche se a quei tempi l’inserimento di un disabile nella società era come se fosse un’utopia. Perciò, ho dovuto lottare parecchio per crearmi una vita più normale possibile, con la mia determinazione e incoraggiata da molti, o superato ogni ostacolo. Grazie alla fiducia che la zia mi dava, o potuto avere la libertà di cominciare, ad uscire dalla cerchia familiare, ad avere diverse amicizie e a fare delle scelte. Infatti, con l’appoggio di molte persone generose, ho deciso di studiare fino a conseguire il diploma in lingue straniere, francese e inglese. Allora, non era previsto l’inserimento nella scuola delle persone in difficoltà, perciò, fu, per me, una grande conquista riuscire a studiare, anche se mi è stato impossibile continuare come desideravo. La mia vita. Un susseguirsi di scelte positive e negative, ogni scelta mi è servita per non ripiegarmi con me stessa, ma a proiettare lo sguardo su chi era meno fortunato di me. Quindi, potevo ritenermi soddisfatta perché, nonostante le mie difficoltà, ero giunta a condurre una vita come tutti. Eppure, non mi sentivo pienamente realizzata, anche se potevo essere contenta. In cominciai a sentire dentro di me che il Signore mi chiedeva qualcosa di più profondo e di più radicale, cioè la vita. Di fronte a questa misteriosa voce interiore ho avuto dei momenti di crisi e di incertezze, perché non riuscivo a comprendere come nelle mie condizioni fisiche potevo rispondere a quella misteriosa voce. Alla fine compresi che erano due realtà che si completavano, l’una non poteva sussistere senza l’altra. Per concretizzare la chiamata del Signore ho lottato, sofferto, perché quasi tutti rimanevano sorpresi e perplessi che, io, disabile volessi consacrarmi al Signore. Fortunatamente ho incontrato delle persone che hanno saputo andare oltre il mio handicap e hanno creduto alla mia vocazione, perciò, ora sono consacrate al Signore come Piccola Apostola della Carità. La vita fraterna con le mie sorelle di comunità, mi stimola a dare il massimo di me stessa, perciò mi sento valorizzato è accettata per quella che sono. La comunità è una palestra educativa, perciò mi aiuta a riconoscere le mie mancanze e le mie debolezze, in modo che possa cercare di correggermi e poter vivere sempre più coerentemente lo spirito di carità. Con questo spirito, si riesce a creare fra di noi un clima di famiglia, aiutandoci reciprocamente nei bisogni più immediati e sostenendoci nei momenti di maggior fatica. Inoltre, ho modo di relazionarmi con diverse persone! Anche questo è un modo per non chiudere in me stessa, ma per essere aperta al dialogo e alla condivisione. Volendo fare un bilancio della mia vita, alla soglia della terza età, con gioia posso dire di aver vissuto la mia vita in pienezza, perché l’ho ricevuta come un “dono” da realizzare. Con questa mia esperienza mi permetta di esortare, caldamente, tutti coloro che si trovano nelle mie stesse condizioni, a non vivere una vita passiva, ma lottare per superare le difficoltà ed esultando per le conquiste raggiunte. Esorto, pure, quei genitori che hanno un figlio in difficoltà: “ non fermatevi a piangere su voi stessi e sui vostri figli, ma imparate a guardare sempre avanti, con coraggio e speranza”.

Scrive Francesca Cinquetti
Lo sviluppare un tema così intenso, così profondo, mi dà l’opportunità di interrogarmi, di riflettere su che significato ha il mio vivere, nonostante l’avanzare degli anni e la consapevolezza che i miei limiti fisici e motori , sicuramente, non si fermano, ma, purtroppo, aumentano di giorno in giorno. Partendo dalla certezza, per me, che la vita è sacra, in quanto il dono di Dio e voluto da Lui, che ama in modo unico speciale, ogni persona, in qualsiasi condizione si trovi, mi sento di benedire ringraziare il Signore, per come ha condotto e guidato la mia vita a tutt’oggi, permettendomi di viverla intensamente, accolta, amata e sostenuta, fin dalla nascita, dai miei genitori e da mia sorella che non mi ha mai considerato, con inferiorità, ma forse, alcune volte, pretendendo da me, più di quanto potevo in quel momento dare. Sicuramente, questo atteggiamento, mi ha sempre stimolato a dare il meglio di me e a non ripiegarmi su me stessa. Inoltre, cammin facendo, le varie opportunità avute di studiare regolarmente, lavorare, vivere normalmente in mezzo agli altri, mi hanno permesso di sentirmi più o meno accolta, da chi mi ha conosciuto, nei miei disagi nel muovermi, per i ritmi rallentati nel lavoro , ma mi sono sempre sentita incoraggiata e apprezzata per la mia volontà ferrea, che mi aiutava a tentare di affrontare ogni evidenza e qualsiasi ostacolo, confidando nella Provvidenza di Dio. Questa mia serenità ed entusiasmo di vivere mi hanno facilitato l’incontro di parecchi amici, che con la loro esemplare testimonianza di vita evangelica mi hanno aiutato a crescere nella fede e sicuramente contribuito a comprendere fino in fondo, cosa voleva veramente il Signore da me. Determinante, è stato per me l’incontro con Luigi e Laura Frigoli, Nicola Meazzi e Carlo Lampugnani del Gruppo Amici de “La Nostra Famiglia” di Cremona, mia città natale, che mi hanno invitato a partecipare al pellegrinaggio a Lourdes, nel maggio 1976, organizzato da questa lodevole associazione. Infatti, è merito loro, come strumenti preziosi del Signore, se spiegandomi l’intento dell’Opera, e dopo il mio ritorno, entusiasta, dal coinvolgente pellegrinaggio, è iniziata la radicale svolta della mia vita, essenziale per la scelta di vita. A contatto con lo spirito di abnegazione di Alba Medea ed il sorriso e la gioia “nel dedicarsi a chi aveva problemi come me, considerandolo a proprio pari”, di alcune Piccole Apostole della Carità, incontrate e conosciute personalmente, sono stata aiutata a scoprire e a comprendere che il sentirmi accettata, nella maggior parte delle situazioni vissute, grazie al mio carattere vivace, nonostante, alcune volte, inadeguata fragile incapace ad affrontare certi imprevisti, era dovuto al sostegno tenero, comprensivo e profondo dell’Amore del Signore e della sua Santissima Madre, che mi aveva affidato una precisa missione, proprio alla grotta di Massabielle. Da allora, mi sono sentita prezioso ai Suoi occhi, privilegiata nel poter vivere una vita piena di interessi, consapevole che nulla potevo da sola, che niente mi era dovuto, ma che anzi, tutto è dono e grazia di Dio. Quindi, ho sempre cercato di spendere il mio tempo libero, interessandomi, con passione, dei bisogni, dei disagi di persone, che, spesso, avendo problemi motori, anche più gravi dei miei, non si sono mai accettate, o che comunque, si sono sentite rifiutate, emarginate dai loro stessi familiari. Interessarmi a loro, con il mio affetto, la mia sentita vicinanza, ha dato un significato concreto alla mia vita,1 missione da compiere e trasmettere agli altri. Secondo me, è stato veramente il sentirmi profondamente amata, spesso in modo immeritato, ma gratuito,dal Signore, che mi ha spinto a dedicarmi con gioia e generosità agli altri, perché potessero comprendere, che ognuno di noi, ha diritto di vivere un’esistenza dignitosa, alla pari di tutti gli altri, con gli stessi diritti e gli stessi doveri, svolgendo con responsabilità, un proprio compito, rendendoli consapevoli,che Dio,ci Ama veramente, così come siamo e non fa assolutamente differenze di persone. Cercando di vivere la mia vita, nell’ottica del dono per me stessa e per gli altri, nonostante anch’io abbia dovuto superare non pochi momenti di scoraggiamento, la fiducia nel mio prossimo, nella Provvidenza di Dio, mi hanno spinto, ad abbandonarmi alla Sua Volontà, affidandomi completamente a Lui, donandoGli ciecamente la mia Vita, in segno di infinita gratitudine, per quanto aveva operato di bene, in me, nella mia esistenza. Certa, che come avevo gratuitamente ricevuto, mi sembrava giusto, ricambiare, donando, con gioia, a Lui, la mia vita risorta, ma semplice e povera vita! Infatti, solo la Sua generosa benevolenza e comprensione mi hanno permesso di realizzare la mia vita, nell’appartenere a tutti gli effetti, all’istituto delle Piccole Apostole della Carità, come ho desiderato fortemente per anni. È una gioia grande, poter vivere, condividendo gioie sofferenze di persone, che credono nella nostra presenza al servizio della collettività, con la nostra preghiera, la nostra serenità, disponibili buonasera all’ascolto dei problemi che realmente, nella società in cui viviamo, alcune volte, sembrano insormontabili, per chi viene a trovarci in comunità a Sant’Ilario Milanese. Nonostante le nostre fatiche personali, le nostre debolezze, mettiamo a disposizione, con semplicità, le nostre reciproche risorse, le capacità di ognuna di noi. Con volenterosa disponibilità reciproca, facendoci carico e prendendoci cura, tra noi sorelle, le une delle altre, cerchiamo di prevenire i desideri, le attese e i bisogni di chi ci sta accanto, andando incontro anche a chi e prende cura di noi, cercando di non fare all’altro, ciò, che non vorremmo venisse fatta a noi. È stupendo, poter testimoniare, pur con le nostre debolezze e fragilità, come ci si sente utili, realizzate e contente di vivere l’una per l’altra, dimostrandoci veramente di stare bene insieme, volendoci bene, aiutandoci reciprocamente, cercando di viver “ lo spirito di famiglia e di comunione”, che tanto auspicava il nostro beato lui di Monza, fondatore dell’istituto secolare Piccole Apostole della Carità, per essere segno di speranza, in un mondo, che sembra aver perso la fiducia nei valori, come il rispetto reciproco e l’Amore fraterno. Non è facile perseverare nei buoni propositi e nelle opere di bene, cercando di accontentare più persone possibili. Però, se penso che Dio, mio Creatore e Salvatore , ha lasciato morire in croce, Suo Figlio, Gesù Cristo, per me, per dimostrarmi il Suo vero Amore e per salvarmi in eterno, sono certa, che nessuna deduzione, amarezza, mortificazione, potrà mai farmi desistere dalla scelta di Vita fatta, di cercare di vivere concretamente, la Carità dei primi cristiani. La forza e la pace interiori, che sento accompagnare le mie fatiche quotidiane, mi incitano a perseverare, nello spendermi “senza misura e senza timore”. È importante, allenati a “tacere, lasciar cadere e offrire a Dio”, per il Bene Comune. Penso, possa essere il modo più giusto, per cercare di rendere credibile la mia Vita, secondo il cuore di Dio. Più i giorni passano, comprendo, con una reale responsabilità, che non mi appartiene più, perché voglio con tutta me stessa, che sia Dio, mio Padre Misericordioso, a condurla, secondo ciò, che a Lui piace che faccia, ascoltando e cercando di concretizzare la Sua Parola, nel mio “Fiat Quotidiano”.

lunedì 10 novembre 2008

LA NORMALITA DELLA DISABILITA'

“La gente normale fa di tutto per rendersi diversa…e la gente diversa fa di tutto per diventare normale, e allora, chi ha ragione? Secondo me la soluzione sta nel superare tutte queste banalità relative e cominciare a pensare che la parola giusta sia unico e che la normalità sta solo nell’esistere…” (Silvestro)

NON SI PUO' FARE A MENO DELL'AMORE PERCHE' DIO E' AMORE!

venerdì 7 novembre 2008Due notizie provenienti dall’Inghilterra danno da pensare. La prima è che la municipalità di Oxford, la cittadella accademica più celebre del mondo, ha deciso di non chiamare più il Natale col suo nome, ma con quello più neutro di Festività Invernale della Luce. Con questa denominazione un po’ ridicola si vorrebbe evitare di urtare la suscettibilità di tutti quelli per cui andare in vacanza perché si festeggia la nascita di Gesù Cristo risulta fastidioso. Ed è singolare che coloro che più si sono lamentati di questa decisione siano i capi delle comunità ebraica e musulmana di Oxford; a loro risulta evidente che cancellare il Natale significa eliminare un pezzo dell’identità britannica, da loro stessi vissuta. Ma passiamo alla seconda notizia.Sui bus e nelle metropolitane di Londra è comparsa nelle scorse settimane la seguente scritta pubblicitaria: «Probabilmente Dio non esiste. Dunque smettete di preoccuparvi e godetevi la vita».L’iniziativa è partita da un blog del giornale progressista Guardian e, dicono gli organizzatori, ha avuto un successo clamoroso: si dovevano raccogliere cinquemila sterline per una piccola campagna pubblicitaria e ne sono arrivate oltre centodiciassettemila. Scopo del messaggio è quello di «rassicurare» chi si sente minacciato dal ritorno del fervore religioso. È chiaro, infatti, cosa i sostenitori dell’iniziativa (tra loro figura Richard Dawkins, diventato celebre per un libro sulle «ragioni per non credere») intendano per Dio: un nemico della vita. Coi suoi precetti e divieti, con la minaccia della punizione eterna, con le sue regole soffocanti questo simulacro di Dio appare evidentemente un ostacolo per la realizzazione dell’uomo. E quindi la constatazione che «probabilmente» non esiste fa tirare il fiato.Ma siamo così sicuri che, senza Dio, noi possiamo «goderci la vita»? Come dovremmo fare?Occorrono un sa
Occorrono un sacco di condizioni di non facile raggiungimento (e questo lo slogan ateistico tende a nasconderlo): bisogna avere la salute e un lavoro soddisfacente, disporre di un minimo di agiatezza economica, essere capaci di instaurare rapporti interpersonali ed affettivi appaganti. E poi è necessario che la situazione intorno a sé consenta di godersela, la vita. Se sei seduto sul bus (magari quello con la scritta ateistica sulla fiancata) e ti schiacciano un piede, tutto il tuo godimento se ne va.E non basta. Siamo sicuri che uno possa tranquillamente godersi la vita quando legge quello che legge sui giornali? Le migliaia che fuggono dai loro villaggi in Congo o quelli che perdono il posto di lavoro perché la banca fallisce; i cristiani ammazzati in India e la bambina lapidata in Somalia.Ci vorrebbe un po’ di giustizia perché questa vita sia davvero godibile. Ma anche guardando più da vicino: come farei a «non preoccuparmi» se una persona che mi è cara soffre, è scontenta, magari un pochino depressa?Insomma «godersi la vita» è un affare complicato. Ma, soprattutto, cos’è questa vita che dovrei godermi? È la somma di salute, affetti, lavoro, soldi, circostanze più o meno favorevoli? È il susseguirsi di raggiungimenti parziali e sempre effimeri? Non c’è, invece, in ognuno l’urgenza di trovare qualcosa che dia consistenza e durata a tutti quei fattori? Non vive ognuno lo struggente bisogno di un «godimento» che non lasci fuori nulla e che sia permanente? Della felicità, insomma.Questa esigenza non apre forse la prospettiva su un orizzonte infinito e misterioso, quello che gli uomini hanno sempre chiamato Dio? Limitare simile apertura non è un rimpicciolimento della persona, una sua riduzione a misure meschine, quelle facilmente gestibili da un potere prodigo di «godimenti»? L’uomo che è nato quel giorno di duemila anni ha detto che proprio per camminare verso la felicità ogni uomo è venuto al mondo e che la misura del suo desiderio è infinita. È
È per questo che gli amministratori di Oxford vogliono farci dimenticare il suo Natale?

venerdì 7 novembre 2008

siamo tutti figli di DIO o no?

recentemente in vaticano si è svolto un incontro dopo i fatti di Ratisbona, tra cattolici e musulmani per una migliore comprensione ed alla fine è scaturito questo documento che riporto qui sotto. spero che prima o poi s capisca che siamo figli dello stesso PADRE e che tutte le guerre fatte in suo nome sono state inutili per cui è stata un inutile carneficina...
1. Per i cristiani la fonte e l'esempio dell'amore di Dio e del prossimo è l'amore di Dio per suo Padre, per l'umanità e per ogni persona. «Dio è amore» (1 Giovanni, 4, 16) e «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Giovanni, 3, 16). L'amore di Dio è posto nel cuore dell'uomo per mezzo dello Spirito Santo. È Dio che per primo ci ama permettendoci in tal modo di amarlo a nostra volta. L'amore non danneggia il prossimo nostro, piuttosto cerca di fare all'altro ciò che vorremmo fosse fatto a noi (cfr. 1 Corinzi, 13, 4-17). L'amore è il fondamento e la somma di tutti i comandamenti (cfr. Galati, 5, 14). L'amore del prossimo non si può separare dall'amore di Dio, perché è un'espressione del nostro amore verso Dio. Questo è il nuovo comandamento «che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Giovanni, 15, 12). Radicato nell'amore sacrificale di Cristo, l'amore cristiano perdona e non esclude alcuno. Quindi include anche i propri nemici. Non dovrebbero essere solo parole, ma fatti (cfr. 1 Giovanni, 4, 18). Questo è il segno della sua autenticità.Per i musulmani, come esposto nella lettera Una Parola Comune, l'amore è una forza trascendente e imperitura, che guida e trasforma il rispetto umano reciproco. Questo amore, come indicato dal Santo e amato profeta Maometto, precede l'amore umano per il Dio uno e trino. Un hadit mostra che la compassione amorevole di Dio per l'umanità è persino più grande di quella di una madre per il proprio figlio (Muslim, Bab al-Tawba: 21). Quindi esiste prima e indipendentemente dalla risposta umana dell'unico che è «amorevole». Questo amore e questa compassione sono così immensi che Dio è intervenuto per guidare e salvare l'umanità in modo perfetto, molte volte e in molti luoghi, inviando profeti e scritture. L'ultimo di questi libri, il Corano, ritrae un mondo di segni, un cosmo meraviglioso di maestria divina, che suscita il nostro amore e la nostra devozione assoluti affinché «coloro che credono hanno per Allah un amore ben più grande» (2: 165) e «in verità il Compassionevole concederà il suo amore a coloro che credono e compiono il bene» (19: 96). In un hadit leggiamo che «Nessuno di voi ha fede finquando non ama il suo prossimo come ama se stesso» (Bukhari, Bab al-Iman: 13). 2. La vita umana è un dono preziosissimo di Dio a ogni persona, dovrebbe essere quindi preservata e onorata in tutte le sue fasi. 3. La dignità umana deriva dal fatto che ogni persona è creata da un Dio amorevole per amore, le sono stati offerti i doni della ragione e del libero arbitrio e, quindi, le è stato permesso di amare Dio e gli altri. Sulla solida base di questi principi la persona esige il rispetto della sua dignità originaria e della sua vocazione umana. Quindi ha diritto al pieno riconoscimento della propria identità e della propria libertà di individuo, comunità e governo, con il sostegno della legislazione civile che garantisce pari diritti e piena cittadinanza. 4. Affermiamo che la creazione dell'umanità da parte di Dio presenta due grandi aspetti: la persona umana maschio e femmina e ci impegniamo insieme a garantire che la dignità e il rispetto umani vengano estesi sia agli uomini sia alle donne su una base paritaria. 5. L'amore autentico del prossimo implica il rispetto della persona e delle sue scelte in questioni di coscienza e di religione. Esso include il diritto di individui e comunità a praticare la propria religione in privato e in pubblico. 6. Le minoranze religiose hanno il diritto di essere rispettate nelle proprie convinzioni e pratiche religiose. Hanno anche diritto ai propri luoghi di culto e le loro figure e i loro simboli fondanti che considerano sacri non dovrebbero subire alcuna forma di scherno o di irrisione. 7. In quanto credenti cattolici e musulmani siamo consapevoli degli inviti e dell'imperativo a testimoniare la dimensione trascendente della vita attraverso una spiritualità alimentata dalla preghiera, in un mondo che sta diventando sempre più secolarizzato e materialistico. 8. Affermiamo che nessuna religione né i suoi seguaci dovrebbero essere esclusi dalla società. Ognuno dovrebbe poter rendere il suo contributo indispensabile al bene della società, in particolare nel servizio ai più bisognosi. 9. Riconosciamo che la creazione di Dio nella sua pluralità di culture, civiltà, lingue e popoli è una fonte di ricchezza e quindi non dovrebbe mai divenire causa di tensione e di conflitto. 10. Siamo convinti del fatto che cattolici e musulmani hanno il dovere di offrire ai propri fedeli una sana educazione nei valori morali, religiosi, civili e umani e di promuovere una attenta informazione sulla religione dell'altro. 11. Professiamo che cattolici e musulmani sono chiamati a essere strumenti di amore e di armonia tra i credenti e per tutta l'umanità, rinunciando a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione, e a sostenere il principio di giustizia per tutti. 12. Esortiamo i credenti a operare per un sistema finanziario etico in cui i meccanismi normativi prendano in considerazione la situazione dei poveri e degli svantaggiati, siano essi individui o nazioni indebitate. Esortiamo i privilegiati del mondo a considerare la piaga di quanti sono colpiti più gravemente dall'attuale crisi nella produzione e nella distribuzione alimentare, e chiediamo ai credenti di tutte le denominazioni e a tutte le persone di buona volontà di cooperare per alleviare la sofferenza di chi ha fame e di eliminare le cause di quest'ultima. 13. I giovani sono il futuro delle comunità religiose e delle società in generale. Vivranno sempre di più in società multiculturali e multireligiose. È essenziale che siano ben formati nelle proprie tradizioni religiose e ben informati sulle altre culture e religioni. 14. Abbiamo concordato di prendere in considerazione la possibilità di creare un Comitato cattolico-musulmano permanente, che coordini le risposte ai conflitti e ad altre situazioni di emergenza, e di organizzare un secondo seminario in un Paese a maggioranza musulmana ancora da definire. 15. Attendiamo dunque il secondo seminario del Forum cattolico-musulmano che si svolgerà entro due anni, in un Paese a maggioranza musulmana ancora da definire

venerdì 17 ottobre 2008

la diversità non è ua colpa ma una ricchezza...

La camera dei deputati, ha approvato un ordine del giorno proposto dalla lega in cui impegna la maggioranza ad inserire una norma in un disegno di legge, per la creazione di classi differenziate, per i bambini stranieri che non conoscono la nostra lingua, cultura e storia. Se ciò dovesse concretizzarsi sarebbe una mostruosità, perché per me la diversità è una ricchezza e non una colpa! Gli italiani ovvero alcuni italiani, non si ricordano più quando i nostri nonni e padri emigrarono in tutto il mondo per sfuggire alla miseria dell'Italia appena unita perché povera di risorse e di come venivano trattati una volta giunti a destinazione. Una volta in Italia, esistevano le scuole differenziali per disabili, ed io che sono disabile l'ho frequentata, ma per fortuna ne sono uscito e ho continuato la scuola normalmente, dopo un nuovo test che aveva misurato il mio grado di intelligenza che ha detta dello psichiatra esaminatore, avevo un'intelligenza sopra la media e che non riusciva a capire come mai i suoi colleghi precedenti avessero sbagliato. Però dal primo responso all'ultimo erano passati 12 anni. Nonostante adesso abbia 54 anni, sono sempre disabile nel senso che non cammino e scrivo le mie riflessioni con la voce dettando al computer sono sempre considerato diverso da molti. Ma io non mi sento in colpa, anzi il mio è handicap, lo considero una grazia di Dio nostro Padre e non mi sento sfortunato, ma fortunato. Fortunato di essere stato scelto per questa grazia, fortunato per questa mia diversità che non ho scelto e che mi è stata donata. Senza ombra di dubbio sarò considerato diverso per tutta la vita, anche se sono italiano per questa mia condizione, ma io sono contento perché questa è la mia ricchezza. In questi giorni ho nostalgia della scuola differenziale, vorrei ancora frequentarle perché non vorrei più far parte di quella comunità che credendosi normali sono stati in grado di proporre una scuola differenziale per stranieri...

giovedì 9 ottobre 2008

A NOI RIMANGONO SOLO I DEBITI....

Per tanti anni si è predicato, da parte di molti, che lo Stato deve essere meno invadente, e lasciare più spazio alla libera iniziativa privata. Chi si opponeva a questo punto di vista era considerato un retrogrado, un comunista come su queste idee fossero solo ad appannaggio dei comunisti, mentre non è così. Anch'io la penso così, ma non sono comunista, sono cristiano o almeno mi sforzo di esserlo è in forza di questo cerco di orientare tutta la mia vita. È da 2000 anni che Cristo ci indica un modello ideale di società dove il bisogno del singolo diventa il bisogno di tutti dove nessuno accumula tesori per se stesso ma il lavoro è per il bene comune di tutti. Salvo una minoranza, vedi NOMADELFIA e gli atti degli apostoli questo messaggio deve ancora essere accolto perché ognuno pensa per sé: sogna di vincere al super enalotto, di avere successo nella vita, di fare la bella vita. Non importa poi se tre quarti del pianeta è alla fame, se si vive con un dollaro al giorno! In questi ultimi tempi è finito un mondo elevato a mito dove l'egoismo legato alla sete di denaro ha cercato di fare più soldi possibili con ogni mezzo possibile prendendo decisioni atte a questo scopo nelle società da loro gestite senza curarsi delle conseguenze che avrebbe avuto sulla vita della comunità mondiale. Così queste società, sono fallite e tutti gli stati sono stati costretti ad intervenire nazionalizzando le varie società in crisi per non mandare sul lastrico come nel 1929 tante famiglie. Questi top menager non hanno sentito nemmeno la necessità di chiedere scusa e restituire quanto guadagnato indebitamente ed in modo vergognoso e come al solito a noi rimangono solo i debiti fatti da altri... da questo baratro ci si può risollevare accantonando il proprio egoismo e soccorrendo al bisogno di tutti!

venerdì 11 luglio 2008

eluana deve vivivere!!

EditorialeEluana è una persona che vivesenza dipendere dalle macchine

Non si agisca in base ad approcci emotivi e strumentali, ma considerando anzitutto il valore della vita e la dignità della persona


09/07/2008L’amore per i più piccoli e poveri ci porta a guardare con particolare attenzione a coloro che, come Eluana, dipendono in tutto, perfino nel cibo e nell’acqua, dalla cura altrui, sicuri, in tal modo, di attuare concretamente il comando evangelico di “dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati”.Davanti alla condizione di Eluana (la cui famiglia abita a Lecco, nella Diocesi di Milano) che l’Arcivescovo ha già avuto modo di visitare, è possibile proporre, con rispetto, alcune immediate considerazioni. Non entriamo nel merito dei sentimenti altrui, né esprimiamo giudizi sulle persone, che spettano ultimamente a Dio. Eluana è una persona viva; non dipende da nessuna macchina, né riceve cure straordinarie. Ha soltanto necessità di alcuni aiuti per alimentarsi ed essere accudita. Ne danno testimonianza silenziosa e amorevole, da ormai quattordici anni, le Suore Misericordine e il personale sanitario della Clinica “Talamoni” di Lecco. Eluana, quindi, non va guardata come un “caso clinico” su cui discutere, né tanto meno va strumentalizzata per finalità del tutto estranee alla sua vicenda umana. La situazione di Eluana, che richiede di essere rispettata nella sua singolarità, suscita, tra gli altri, due ordini di interrogativi. Il primo, di carattere etico, richiede di tenere in considerazione anzitutto la fondamentale distinzione tra l’accanimento terapeutico, chiaramente non presente in questa circostanza, e il dovere di alimentazione. Eluana, come ognuno di noi, ha bisogno di acqua, cibo e cura della persona. L’altro interrogativo, di carattere giuridico, non presenta per ora elementi sufficienti per essere adeguatamente valutato. Ci auguriamo che si reagisca non in base ad approcci emotivi e strumentali, ma considerando in modo pacato e ponderato i molteplici elementi in gioco, anzitutto la vita e la dignità della persona

mercoledì 9 luglio 2008

UN POVERO CRISTO

Da quando Gesù Cristo si è fatto uomo, morto e risorto, alcuni uomini non gli hanno dato tregua. Per il potere l'hanno tirata sempre in ballo, mi riferisco alla lotta per le investiture tra papato ed impero, alle crociate, all'inquisizione, senza contare le varie divisioni all'interno della chiesa: da Martin Lutero con la riforma protestante, alla divisione della Chiesa d'Inghilterra per beghe matrimoniali, alla rivoluzione francese, comunista russa e cinese per arrivare ai giorni nostri dove uno stato vuole dichiararsi laico mentendo fuori dai propri uffici un uomo raffigurato in croce. Mi riferisco alla Spagna e dal suo primo ministro che ha in seno questo progetto. Insomma un uomo morto per amore 2000 anni fa ancora paura. Questo uomo non ha mai voluto imporre la sua dottrina, il suo modo di vedere lo ha solo additato a tutti noi il suo modo di vedere. Tutto il suo programma si riassume: ama il prossimo tuo come te stesso e questo programma è ancora valido oggi, certo è un programma difficile da attuare, visto come siamo egoisti, lui ci dice che il nostro cuore è sempre proteso a possedere il mondo piuttosto che possedere l'amore. Per cui vogliamo creare per non avere ulteriori fastidi uno stato laico così tutti potranno godersi la vita questa breve fuggevole vita senza essere disturbati. Ma agendo così ci si accontenta di poco anzi direi di niente. La cosa grottesca è che viviamo in un mondo creato da Lui per noi e noi cacciamo il creatore fuori dal nostro uscio creandoci una società dove per renderla perfetta si introduce, l'aborto per i bambini che sono un peso economico, oppure affetti da patologie, l'eutanasia perché quando non si sta più bene è meglio decidere noi e non il creatore quando morire perché la storia della sacralità della vita è solo una barzelletta buona per i creduloni. Insomma, quest'uomo in croce è sempre messo all'indice come un povero Cristo...

lunedì 7 luglio 2008

GRAZIE DIO, PERCHE'...

Grazie Dio perché mi hai fatto scoprire la Tua paternità, e come scrive San Paolo lo spirito grida Abbà Padre...
Grazie Papà, perché ti sei fatto carne, ti sei fatto debole, perché non avessimo paura della nostra debolezza,
Grazie Papà, perché a tutti fai un dono quando nasciamo, a me, hai donato questa disabilità...
Grazie Papà, perché con questa disabilità, mi hai tolto la tentazione di essere autosufficiente, di farmi da solo,
Grazie Papà, perché spesso chi mi incontra pensa o mormora che sono sfortunato e che la mia situazione fisica è una grossa disgrazia, ma Tu perdonali perché sono come ciechi che non sanno vedere un dono prezioso: la sofferenza. Quella sofferenza che tu poi hai preso su di te per salvare tutti noi.
Grazie Papà, perché di fronte al cieco nato hai detto che né lui né i suoi genitori avevano colpa per la sua cecità, ma il tutto era dovuto per la gloria di Dio e così la disabilità da quel giorno non è stata più maledizione, perché tu hai fatto nuove tutte le cose,
Grazie Papà, perché continui anche in questa mia apparente solitudine ad essermi vicino; anche nelle nuove prove che dovrò affrontare, nei nuovi interventi chirurgici in programma nei prossimi mesi...
Grazie Papà, perché mi hai fatto come un prodigio e sei stato con me nei momenti bui. Sicuramente come dice una poesia alla fine della mia vita vedrò in uno schermo tutta la mia esistenza contrassegnata da quattro orme nei momenti ordinari e due orme nei momenti difficili perché oso pensare che tu mi hai portato in braccio...
Grazie Papà, perché hai esaudito quelle preghiere che non ho mai fatto che quelle che ho sempre fatto, cioè avere delle gambe buone ed una vita di successo. Niente di tutto questo mi è stato concesso. Tu mi hai fatto capire col tempo che per essere felici non sono necessarie le gambe buone, non è necessario vivere una vita alla grande, quello che è necessario essere come bambini dipendenti in tutto dal Padre...

sabato 21 giugno 2008

non sono d'accordo!

Di tutto conosciamo il prezzo, di niente il valore. A prima vista, questa potrebbe essere una frase ad effetto, ma non è così, perché quello che è successo pochi giorni fa, a Viterbo e negli Stati Uniti, anche se poi risolto, come nel caso degli Stati Uniti, dimostra che la condizione di handicap che vivono molte persone può essere appesantita da atteggiamenti incomprensibili di certe persone che presiedono diocesi o organismi sportivi. Per la diocesi mi riferisco al fatto accaduto giorni fa, a Viterbo e riportato dai giornali, quando il vescovo di quella città ha negato le nozze religiose a una coppia, perché è uno dei componenti non poteva procreare e questo non per colpa di quella persona, ma a causa di una malattia. Il vescovo ha giustificato il provvedimento dicendo che per accedere al matrimonio religioso bisogna essere in grado di procreare in caso contrario il matrimonio religioso non si può svolgere. Questa è un'antica legge della Chiesa. Pur con tutto rispetto, per l'autorità che ha emesso questo provvedimento, dico che non sono d'accordo, perché questo difetto non se l'è procurato lui e mi permetto di dire che se Dio l'ha permesso questo difetto, è per un disegno più grande e come per il cieco nato non può essere vissuto come una colpa. Stessa cosa dicasi per quanto è successo negli Stati Uniti in cui il comitato para olimpico voleva impedire la partecipazione alle para Olimpiadi di Pechino a un ragazzo disabile affetto da autismo, questa decisione è stata annullata grazie alla madre adottiva di questo ragazzo dall'organismo internazionale delle para Olimpiadi. Purtroppo ancora oggi il diverso non ha cittadinanza e se riesce averla è perché ha dovuto sottostare a dure lotte. È da anni che dico che la disabilità è un valore inestimabile, è una grazia incomparabile e il Signore la concede alle volte a chi ha carattere, a chi non ha paura di combattere, perché quando la lotta si fa dura, i duri cominciano a combattere, io che non cammino da sempre ho sempre combattuto e sto combattendo anche adesso con questo scritto. Io non mi sento in colpa per la mia disabilità, io non mi sento in colpa, se non ho mai avuto un corpo perfetto, ma con ciò mi sento amato, di un Amore più grande dell'amore stesso. Questo Amore che ha cancellato tutti pregiudizi esistenti su questa condizione umana tanto da diventare gloria di Dio. Non bisogna avere paura della condizione di disabilità, perché essa può capitare a tutti e può essere momentanea o definitiva, ma certamente è possibile convincerci, poi se uno è credente scoprirà pian piano come è successo a me, il valore inestimabile di questa condizione! È proprio vero di tutto conosciamo il prezzo, di niente il valore...

giovedì 29 maggio 2008

cristiani e musulmani ed il dialogo possibile

noi cristiani non dobbiamo aver paura di dialogare con i musulmani, perchè se abbiamo paura vuol dire che dubitiamo della nostra fede, perchè il dialogo continuo mantiene in vita la pace. il non dialogo e la supremazia porta inevitabilmente alla violenza. Ed una religione che si impone sull'altra con la violenza mostra tutta la sua debolezza,mentre quella che è capace di dialogare vuol dire che riesce a comunicare e che le ragioni che la fanno esistere ed andare avanti sono solide. D'altronde come ha detto Gesù noi cristiani dobbiamo non vergognarsi di esserlo ed essere luce del mondo e sale della terra

martedì 27 maggio 2008

LA FANTASIA DI DIO E LA POVERTA' DELL'UOMO

La fantasia di Dio, è grande. Se penso a come ha costruito l'universo e la terra, mi accorgo che è una cosa stupenda. Infatti i tramonti fantastici che ho visto, le montagne innevate con tutti i paesaggi che le circondava, i fiumi, i laghi, il mare soprattutto al tramonto. Senza dimenticare poi i vari continenti, abitati da gente multicolore e di culture diverse volute e create da Dio, che hanno fatto la civiltà dell'umanità, tutto questo è frutto della grande fantasia di Dio nostro Padre. Nonostante tutto questo, Dio nella sua immensa sapienza non si è accontentato di quello che aveva fatto fino ad ora per i suoi figli e così, ha deciso di incarnarsi, da potente che era, ha rinunciato ed ha voluto la debolezza dell'uomo, la sua paura, il suo dolore, tranne che i suoi peccati, decidendo che questi ultimi dovevano essere condonati tramite la Sua morte in croce. Ma prima di questo sacrificio, Gesù, delineò con la sua predicazione, un altro mondo possibile. Un mondo dove la misericordia e il perdono, sia la regola di vita; un mondo, dove gli ultimi non siano più tali perchè per Dio nessuno è ultimo. Tanto è vero che di fronte al cieco nato alla domanda che colpa aveva commesso lui ho i suoi genitori per essere in quelle condizioni, Gesù rispose smentendo così la credenza del tempo, che non era colpa di nessuno se era in quelle condizioni, ma era per la gloria di Dio. Per la prima volta lo stato di disabilità è assurto a gloria di Dio. Non solo, per Gesù conta non quanti palazzi o ricchezze abbiamo posseduto, ma se abbiamo amato, amato il carcerato andandolo a trovare, se abbiamo amato e curato l'ammalato, se abbiamo accolto l'emigrato nella nostra terra, se abbiamo sfamato gli affamati, se abbiamo amato i nostri nemici, se abbiamo pregato per loro. Quello che è fantastico e che Gesù, ha dichiarato beati, nel discorso della montagna, tutte quelle persone che il mondo di ieri e di oggi, ritiene di non prendere in considerazione perché non è funzionale al loro disegno miope che hanno del mondo in cui vivono e di cui si sentono illusoriamente i padroni. Questo perché, il discorso della montagna di Gesù esalta i perdenti, i deboli che il mondo sente come un peso... destinati irrimediabilmente ad essere sconfitti, ma incredibilmente questa sconfitta è la loro beatitudine come potete leggere nel testo seguente:
3 "Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4 Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
5 Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7 Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8 Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9 Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10 Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.
La maggioranza degli uomini, ha fatto finta di niente, ha perseguitato suoi simili, e qui mi riferisco agli indiani e gli indios per i tesori che la loro terra possedeva rinchiudendoli in riserve, ha reso schiavi molta gente dell'africa, riducendole a cosa da comprare o da rivendere a proprio piacimento e per farlo terminare questo stato di cose, hanno dovuto fare anche una guerra purtroppo. Mi riferisco alla guerra di secessione scoppiata negli Stati Uniti sotto la presidenza di Abramo Lincoln. Inoltre, la povertà dell'uomo, man mano che avanzava nel progresso oltre a rendere più agevole la propria esistenza, ha cominciato inquinare facendo morire molti animali a seguito di questo inquinamento e che si prosegue di questo passo il creato è destinato a spegnersi. Ma per fortuna non è l'ultima parola quella dell'uomo, ma di Dio nostro Padre.

martedì 20 maggio 2008

L'AMORE VINCE LA PAURA

l Non bisogna aver paura ad accogliere uno straniero,certo c'è chi delinque, ma non per questo tutti gli immigrati son deliquenti. non dobbiamo dimenticare che per la miseria noi italiani siamo emigrati in tutto il mondo, ed in mezzo a questa massa di gente c'erano dei delinquenti che hanno portato la mafia lì dove sono emigrati, ma non per questo il resto delle persone era mafiosa.Gli italiani prima di essere accettati sono stati perseguitati perchè diversi. Non bisogna aver paura della diversità perchè essa è una ricchezza, che monotonia sarebbe la vita, se non ci fosse più niente da scoprire e fossimo tutti uguali con un unico colore della pelle! Che tristezza mi ha fatto vedere dei campi rom bruciati...che tristezza mi ha fatto sentire le grida di gioia quando questa gente se ne è andata, in quel momento la paura ha vinto sulla ragione e quello che mi faceva più pena era che chi gioiva era povera gente come i rom che scacciavano. Molti di noi poi si definiscono cristiani, ma questo non è un atteggiamento cristiano, perchè per il cristiano l'accoglienza del diverso è un valore, il rifiuto,è un occasione persa. Daltronde Gesù ha detto nel vangelo:" ero forestiero e mi avete accolto." Accogliere non vuol dire permettere la violenza, il sopruso,ma nemmeno farci vincere dalla paura del diverso, perchè bisogna sempre ricordare che un amore responsabile ed in telligente vince sempre sulla paura!

martedì 13 maggio 2008

PISTORIUS E NATALIE QUANDO LHANDICAP NON E' UN HANDICAP

Alle volte l'handicap umano per chi ce l'ha non è un problema. Questo è il caso di PISTORIUS E NATALIE DU TOIT due atleti sudafricani che nonostante il proprio handicap vogliono gareggiare con i cosiddetti atleti normali alle Olimpiadi di Pechino. Pistorius è un giovane atleta che ha avuto amputate le sue due gambe all'età di due anni e da allora cammina con due protesi, ma la cosa curiosa è che camminare con le protesi diventa un ostacolo per partecipare alle Olimpiadi perché esse procurano un indubbio vantaggio a questo atleta nei confronti degli atleti normodotati. Insomma se per lui il suo handicap non è un problema, per gli altri atleti normodotati lo è, perché non si può permettere che una persona disabile sia vincente su atleti normodotati ribaltando il clichet che vede sempre i disabili dei perdenti, ma non è così come dimostra questo caso ed altri casi come quello dell'atleta sudafricana NATALIE DU TOIT amputata a una gamba e che si è qualificata recentemente per i giochi olimpici di Pechino chi volesse vedere il suo sito Internet:http://www.nataliedutoit.com/ , in questo caso nessuno ha detto niente, perché per lei per nuotare non usa nessuna protesi, cioè nuota con una gamba sola, mentre gli altri con due, ma siccome in questo caso in svantaggio è la persona disabile d'altronde il termine handicap è usato nel mondo dell'ippica per indicare quei cavalli che vengono tenuti fermi perché sempre vincenti e per dar modo di poter far vincere anche gli altri cavalli. Ecco come si presenta NATALIE "mi scuso per la presentazione fatta in lingua inglese": It's important to swim your own race and not some-one else's, and that is exactly what this remarkable South African swimmer has been doing. Having competed at the Kuala Lumpur Games in 1998 as an able bodied athlete at the age of 14, she lost her leg in a motorcycle accident in 2001. Despite this setback, she was determined to compete at the Manchester Games both as an able bodied and disabled competitor just to prove it could be done. She achieved her goal, swimming into a creditable eighth place in the able bodied 800m Freestyle, and winning gold in the 50 and 100m Elite Athletes with a Disability (EAD) events. Since then, Natalie has become one of the most successful disabled athletes of all times and an inspiration to many.
Natalie has two major dreams at this stage:
To be able to run, &
To make it to the 2008 Beijing Olympics (Congratulations, Natalie. You have made it - read recent articles)
Her third dream; to visit the Kruger National Park, materialised last month when she had a wonderful week end at the Grand Kruger Lodge.

Ecco la descrizione che la gazzetta dello sport fa di PISTORIUS:
Al 21enne sudafricano mancano le gambe, ma con le sue protesi va veloce quanto i campioni. Al Golden Gala di Roma correrà i 400 metri sognando i Mondiali di Osaka
Oscar Pistorius è nato a Pretoria il 22-11-1986. Ap
ROMA, 11 luglio 2007 - Se chiudi gli occhi, magari ti sembra di udire un sibilo. Quello delle lame che, quando corre, porta al posto dei piedi, amputati quando aveva 11 mesi perché era nato senza entrambi i peroni. E pensi a una macchina più che a un atleta. Se li apri, ti accorgi che sul volto c’è la sofferenza e il sudore di chi, in quella corsa, sta mettendo qualcosa di più di due pezzi di carbonio. E scopri che lì c’è un uomo, solo un uomo: Oscar Pistorius, 21 anni, nato in Sud Africa, campione olimpico e mondiale di categoria, una vita ad abbattere barriere. Gioca a pallanuoto e rugby, si infortuna al ginocchio, passa all’atletica. Le prime lame che sostituiscono i piedi le costruisce lui stesso, ricavandole dalle pale degli elicotteri. Poi passa a quelle di carbonio. Vince e ottiene tempi che lo portano a sfidare i normodotati, è secondo sui 400 ai campionati nazionali sudafricani, non paralimpici. La sua federazione vorrebbe iscriverlo alla 4x400 ai Mondiali di Osaka, ma aspetta il sì della Iaaf. Oscar, intanto, arriva a Roma per il Golden Gala, anche in questo caso per una gara "normale". E rivela subito un’affinità sorprendente con l’Italia: sa "parlare" con le mani, eredità del nonno di sua madre. "Era italiano - dice Pistorius -, emigrato in Kenya".
Oltre al linguaggio delle mani, cosa conosceva dell’Italia? "Le automobili. Mi piacciono tantissimo a cominciare da Ferrari e Maserati. E le moto: Ducati, Benelli. E poi, sono un grandissimo tifoso di Valentino Rossi".
Calcio e donne? "Tifo per la Lazio. Il mio miglior amico è un italiano, che lavora in Sud Africa. È tifoso della Lazio e per simpatia anch’io. So che le donne italiane sono bellissime. Di quelle famose, mi piace tanto Monica Bellucci. Comunque, adesso potrò vederle di persona".
Al Golden Gala, potrebbe anche trovare il minimo B per i Mondiali di Osaka. Ha 46"34 sui 400, deve scendere a 45"95. "Credo di potercela fare. Ma non voglio fermarmi lì. Il mio obiettivo più grande è l’Olimpiade. Perciò, devo limare il mio tempo di un altro secondo e mezzo, stare sotto i 45". Perché ci voglio andare e magari non fermarmi al primo turno".
Un miglioramento che può costruire in curva. "Lì devo prima pensare a mettere bene la lama a terra, piatta, poi a inclinare il corpo, altrimenti cado. E devo farlo a ogni passo, cercando di mantenere un’azione fluida".
Uno sforzo che è niente in confronto alle prime sfide affrontate da ragazzino. Una volta, due bulletti lo buttarono a terra, sotto gli occhi del padre, che decise di non intervenire perché si rendeva conto che non poteva essere sempre vicino al figlio per difenderlo. A casa gli fece trovare un punching-ball. "L’episodio non lo ricordo, ma il punching-ball sì, e ciò che significava. Fu una grande lezione: seppi che dovevo contare solo sulle mie forze".
Erano gli altri a contare su lui, come suo fratello Carl, che aveva paura di lanciarsi in discesa con un’auto a pedali. Oscar andava con lui e metteva la protesi fra asfalto e ruota come freno. "E il bello è che non si rompeva. A Carl dissi che ogni cosa è possibile, basta volerlo, a costo di frenare in quel modo".
Si rende conto che la sua presenza può essere interpretata solo come uno spettacolo da circo? "Lo so, ma non ci penso. Se mi preoccupassi di cosa pensa la gente, non potrei fare quello che mi piace".
Cambia qualcosa, nel rapporto col pubblico, da quando è ai blocchi di partenza fino al momento in cui finisce la gara? "All’inizio, capisco che ci possa anche essere curiosità, ma basta un giro di pista per far cambiare il modo di pensare degli spettatori. Alla fine, l’ho sentito tutte le volte che ho corso, vedono solo l’atleta".
Qualcuno, però, l’ha definito "uomo bionico". "Sono un uomo".
Gennaro Bozza comunque vada a finire per me loro hanno già vinto e come dice un vecchio adagio: "comunque vada è già un successo"

lunedì 5 maggio 2008

GIULIO, ALICE E L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE...

Giulio e Alice sono stati i miei genitori. Come tutti genitori, hanno avuto i loro problemi, hanno avuto una vita travagliata: infatti, prima di me, sono nati e morti subito dopo quattro figli. Per ultimo, il quinto figlio, che sarei io, sono nato settimino all'ospedale di Piacenza. Posso immaginare quante speranze, quanti sogni hanno riposto su di me, dopo tutti quei fratellini morti. Ma a nove mesi dalla nascita, mi colpiva, una meningite che mi lasciava come conseguenza una paresi che porto tuttora e che non mi permette di camminare. Questo fatto ha mandato in frantumi i sogni dei miei genitori e spesse volte, ha fatto venire fuori il loro rifiuto nei miei confronti. Tanto è vero che mia madre, nell'ultimo periodo della sua vita, non mi ha mai voluto vedere. Mio padre invece, mi ha detto: " che se all'epoca in cui sono nato io, ci fossero stati i metodi di indagine prenatale che ci sono oggi e se dagli esami sarebbe venuto fuori una malformazione del feto lui avrebbe fatto abortire mia madre". Ma così non è stato, e come gli ho detto l'ho fregato, perché io sono nato sano e solo dopo nove mesi dalla nascita è venuta la meningite che mi ha lasciato una paresi che non mi ha mai permesso di camminare, lasciandomi solo a disposizione una mano che è la sinistra, la voce in cui detto queste riflessioni al mio computer. Qualcuno obietterà, che ho avuto finora un'esistenza sfortunata e che i miei genitori sono stati molto sfortunati, ma io penso che non è così, perché ogni figlio che viene al mondo è un dono di Dio, non importa poi se questo figlio sarà disabile o meno, perché per Dio non fa nessuna differenza tutto per Lui è prezioso, nessuno dei Suoi figli è sfortunato. Io non ce l'ho con i miei genitori, perché la pensano così, perché sono figli del loro tempo e di questo tempo, dove si erige la perfezione del corpo, a valore assoluto. Così si fa anche oggi con l'aborto, dove si abortiscono tutti quegli esseri che non sono dentro in questo valore, oppure che hanno un notevole costo economico. L'aborto è diventato un diritto invece che un omicidio: più di un miliardo di bambini è stata abortita nel mondo, per questi principi che la maggioranza degli uomini ha accettato. Contro questa strage finché posso, urlerò sempre perché chi è nel ventre di una donna, di qualsiasi donna ha diritto di vivere. Non siamo noi i padroni della vita, non siamo noi a stabilire in base a quale felicità una persona ha diritto di vivere. Non siamo noi a stabilire quando è l'ora di morire, la morte deve venire per via naturale e non procurata. Molti si creano o sognano una società fittizia, che alla prova della vita, cade miseramente, perché quando alcune persone diventano disabili dopo una vita magari di successo, pensano a torto, che tutto sia finito perché quella condizione non è vivibile e allora si invoca l'eutanasia come diritto. Quanto sia sbagliato questo modo di pensare è dimostrato da molti fatti: ci sono persone disabili felici che vivono in pienezza la vita: vedi l'atleta Pistorius, il presidente americano Adelano Roosevelt, uno dei due capitani reggenti della Repubblica di San Marino è in carrozzina, il cantante cieco Bocelli, ecc. Ho l'impressione che molte persone alle volte si facciano prendere dall'insostenibile leggerezza dell'essere, piuttosto che aver fiducia in Dio padre e guardare con serenità al proprio avvenire, perché con questa fiducia comunque vada, sarà un successo anche se non hanno i soldi perché c'è sempre la provvidenza di Dio!

lunedì 28 aprile 2008

IL SILENZIO DI DIO

Un mio amico psicologo, mi diceva che lui crede in Dio, ma quello che più gli pesa di Dio, è il suo silenzio, perché lui vorrebbe avere il conforto di Dio per sapere se quello che fa ogni giorno, sia giusto o sbagliato, ma questo desiderio non viene esaudito, perché ottiene solo il silenzio. Qualche giorno fa, mi sono ricordato di questa frase, perché anch'io condividevo questo pensiero, soprattutto riguardo al dolore umano, alle ingiustizie di tutti i giorni, poi non so se per grazia che non merito è arrivata la risposta ed è stata quando il mio amico Paolo, affermava che Dio di fronte alle ingiustizie non interviene mai, è sempre silente. Prima di rispondergli mi è tornato alla mente il giudizio universale e li ho capito che Dio continua a parlare attraverso le persone che hanno una serie di problemi come la malattia, il carcere, la droga, eccetera, eccetera. Difatti nel giudizio universale che verrà, Gesù dirà: "Venite benedetti del Padre Mio perché avevo fame e mi deste da mangiare, avevo sete e mi deste da bere, era forestiero e mi ospitaste, ero carcerato e mi veniste a trovare, era malato e drogato e mi curaste, ero nudo e mi vestiste, eccetera... ogni volta che avete fatto questo a uno di questi miei piccoli fratelli l'avete fatto a Me". Allora ho capito che Dio non è mai silente, perché attraverso la persona che mi chiede un aiuto a risolvere un problema che lo attanaglia, è come se me lo chiedesse Lui di dargli una mano e non ho bisogno di sentire ancora la sua voce, perché me l'ha già detto raccontandomi il giudizio universale, com’è scritto nel Vangelo. Io allora ho due possibilità: o aiutarlo, o far finta di nulla e di tirar dritto per la mia strada e qui sta il libero arbitrio, la mia libertà, perché Dio di fronte alla mia libertà è silente, non per menefreghismo, ma per rispetto, salvo poi, essere giudicato. Sarà un giudizio d'amore; che come c'è scritto nella Bibbia, in un salmo, Ti ho amato di un Amore eterno... e se lo dice Lui c'è da credergli!